Molti di noi, soprattutto quelli con qualche capello bianco, sono portati a identificare Red Hat con Linux. Ovverosia, una delle molte varianti della famiglia del sistema operativo unix. Questo è, purtroppo, un concetto alquanto lontano dalla realtà. Innanzitutto, Red Hat è una distribuzione di Linux, ovverosia Linux (la parte centrale del sistema operativo) con attorno una collezione di software per gestirlo renderlo produttivo. Red Hat Enterprise, in particolare, è una distribuzione che correda Linux con del software pensato per servizi su larga scala e server ad alte prestazioni. Red Hat Enterprise Linux ha visto la sua prima distribuzione commerciale 20 anni fa. Da allora, molte cose sono cambiate nel panorama ICT internazionale. Il punto della situazione è stato fatto alla stampa da Red Hat Italia in occasione del ventesimo anniversario di Red Hat Enterprise.
Red Hat Enterprise e open source
Prima di procedere, un punto secondo noi importante da chiarire a chi non ha dimestichezza con l’ecosistema commerciale attorno a Linux, è che open source non è sinonimo di gratuito.
Think free as in free speech, not free beer. /
Pensate a libero come a libertà di esprimersi e non come a una birra gratis.
— Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation
Un software open source è un software di cui abbiamo a disposizione il codice sorgente, ovverosia il testo originale prodotto dal programmatore. In quanto tale, ci è data la possibilità di capire cosa fa e di modificarlo per adattarlo alle nostre necessità. Non è però detto che quel software ci verrà dato gratis.
Red Hat Enterprise, come distribuzione, è totalmente open source ma non è gratuita.
Pertanto, anche se stiamo parlando di open source, siamo di fronte a un prodotto commerciale di grado enterprise alla stregua di molti altri.
La spinta all’innovazione dell’open source
L’incontro inizia con Gianni Anguilletti, Vice-President Med Region, che descrive come in questi 20 anni il fenomeno dell’open source sia stato effettivamente una spinta per l’innovazione ICT.
Innanzitutto, un software è open source raccoglie idee da una community di sviluppatori, che può essere anche molto ampia, e non viene gestito da un ristretto gruppo di persone all’interno di un’azienda. Questo fa si che delle tante idee proposte, le migliori possono emergere ed essere integrate o anche diventare nuovi progetti.
Red Hat, come azienda, partecipa alla nascita di nuovi progetti provenienti dalla community, aiuta ad integrarli con il resto dell’ecosistema e infine li stabilizza per renderli dei prodotti commerciali. Questi nuovi prodotti commerciali sono in grado di portare una forte innovazione nei servizi offerti alle aziende. L’innovazione, a sua volta, contribuisce ad attirare nuovi clienti, a diminuire i tempi di arrivo sul mercato e a ridurre i costi.
In quanto parte attiva di questo processo, Red Hat assume una grande rilevanza a livello di sistema.
Anguilletti chiude il suo discorso menzionando che un gran numero di clienti e partner si stanno già rivolgendo a Red Hat come piattaforma. Tra questi spiccano nomi quali Il Crédit Agricole francese, le forze armate israeliane, Accenture, Ericsson, Kyndryl fino addirittura ad Azure e General Motors.
La diffusione dell’open source a livello di grandi aziende
Nella seconda parte dell’incontro interviene Giorgio Galli, Manager Sales Specialist & Solution Architect Team, Red Hat Italy, per parlare del livello di adozione globale delle soluzioni open source.
L’immagine che ne esce è che più dell’80% degli IT leader vedono in maniera favorevole l’inserimento in azienda di software open source e il 70% di loro vede anche dei vantaggi a livello di cloud ibrido. In particolare, una forte maggioranza delle aziende usa soluzioni open source per tecnologie emergenti quali l’intelligenza artificiale, l’Internet of Things (IoT), la virtualizzazione tramite container e il serverless computing.
Se siete interessati ad avere informazioni più dettagliate, potete consultare il report completo di Red Hat “The State of Enterprise Open Source: Report, 2022“
Open source e piattaforme aperte
Proprio per favorire un’adozione sempre più larga dell’open source, ci spiega Galli, Red Hat propone una sua visione di cloud ibrido. Un cloud ibrido che si identifica come una piattaforma aperta.
Per questa proposta, Red Hat pesca dalla filosofia open source intesa come “pensiero libero”. Ovverosia, viene definita un’infrastruttura con l’obiettivo di prevenire il lock-in dell’azienda con un cloud provider. Red Hat OpenShift è un sistema di container indipendente dalla piattaforma che permette di eseguire sia applicazioni tradizionali sia applicazioni native cloud. Inoltre, è in grado di ospitare funzionalità avanzate come l’intelligenza artificiale. Diversamente dalla concorrenza, però, OpenShift non è una architettura cloud ma solo uno strato di adattamento a un cloud di terze parti. Il risultato finale è che i container OpenShift possono essere spostati su un nuovo provider senza un’interruzione significativa del servizio. E, soprattutto, possono essere spostati senza la necessità di modificare le logiche applicative dei servizi aziendali.
Piattaforme aperte e a ridotta gestione
Con l’incremento della complessità delle piattaforme cloud, diventa sempre più importante automatizzare le operazioni di gestione. E questo è va fatto non solo su grandi numeri ma anche a livelli diversi: per l’infrastruttura, per la rete, per la sicurezza e così via.
Galli ci parla quindi della piattaforma di automazione Ansible, progettata per risolvere esattamente questo problema. Ansible si compone di servizi sia locali sia su cloud pubblico (viene portato l’esempio di Azure) che permettono di definire processi gestionali IT e di distribuirli, anche su larga scala. Il problema della scala di utilizzo si pone, ad esempio, nel caso di IoT e di Edge Computing. Nel primo caso siamo di fronte a migliaia di sensori che generano dati e nel secondo a una struttura complessa che richiede una forte ottimizzazione.
Focus sull’Italia
Nell’ultima parte interviene Rodolfo Falcone, Country Manager, Red Hat Italy. Falcone fa vedere i numeri del mercato digitale. Un mercato che vede globalmente un rallentamento della crescita e, in Italia, un rallentamento del PIL.
Nonostante tutto, ci sono delle buone previsioni di crescita per il mercato digitale italiano. E con esso, di conseguenza, anche per quello del cloud. Il modello che sembra vada affermandosi è quello del cloud ibrido, caratterizzato anch’esso da un tasso di crescita a due cifre. Crescita che potrebbe essere ulteriormente amplificata grazie ai fondi PNRR che verranno stanziati in un prossimo futuro.
In un ecosistema con questo tipo di trend, sicuramente, il modello seguito da Red Hat è destinato ad attecchire molto bene. In particolare, il Country Manager fa un elenco di realtà italiane che già hanno deciso di abbracciare Red Hat. Tra i nomi più importanti troviamo Inail, BPER, Intesa Sanpaolo, Engineering, Lutech, Cineca, Leonardo, Aruba e Fastweb.
Il futuro sembra quindi positivo per il Red Hat, che potrebbe avere la possibilità di fare la differenza sul mercato italiano e internazionale grazie al sua filosofia radicata nell’open source.
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