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La Gen Z italiana guarda allo smart working, cresce il numero di smart worker nel 2023

Attualmente gli smart worker in Italia sono 3,6 milioni

Smart working come condizione necessaria per scegliere l’azienda di cui far parte e perplessità sulla formazione digitale impartita a scuola. Questi gli elementi più significativi espressi dalla Generazione Z italiana quando interrogati sui temi di lavoro e competenze. Si tratta di un quadro che emerge dallo studio Future-Proof condotto da Dell Technologies, in collaborazione con la società di ricerche Savanta ComRes. La ricerca ha coinvolto un campione di adulti nella fascia d’età 18-26 in 15 Paesi del mondo. Si è focalizzata sulle strategie di ripresa sociale ed economica. Attualmente gli smart worker in Italia sono 3,6 milioni.

I giovani di oggi vogliono essere smart worker

La possibilità di lavorare in modo flessibile e da remoto è un aspetto molto importante per la Generazione Z. Il 63% del panel cita addirittura lo smart working come un elemento condizionante della scelta del posto di lavoro. Il tutto in uno scenario in cui, secondo il recente Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2022 sono stati circa 3,6 milioni i lavoratori da remoto. Il dato conferma un calo di quasi 500 mila rispetto al 2021. Il tema, poi, delle competenze digitali diventa di particolare rilevanza, man mano che avanza la trasformazione digitale del Paese e delle imprese.

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Entra in gioco la scuola italiana che, a detta della Gen Z, pecca dal punto di vista della preparazione su tematiche digitali e tecnologiche. Il 50% degli intervistati non sente di aver ricevuto, lungo il proprio percorso di studi che va dai 6 ai 16 anni, un’adeguata preparazione dal punto di vista delle competenze tecnologiche, funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi di carriera. Sempre 1 giovane su 2 della Gen Z in Italia dichiara di aver appreso a scuola solo competenze informatiche di base. Circa il 14% invece, ritiene di non aver ricevuto alcuna istruzione in ambito tecnologico e digitale.

Per colmare il divario nell’ambito delle competenze digitali, il 40% degli italiani intervistati suggerisce di rendere i corsi di tecnologia più interessanti e disponibili trasversalmente a tutti i livelli dell’istruzione. Il 27% suggerisce che l’obbligatorietà dei corsi di tecnologia fino a 16 anni incoraggerebbe i giovani a intraprendere carriere più orientate alle tematiche digitali.

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L’impatto dello Smart Working

Lo Smart Working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI. Qui lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza.

Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro. Per il futuro però, si prevede un nuovo aumento. L’impatto dello Smart Working è sempre più positivo per effetto dell’aumento dei costi energetici. Un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno.

Lo Smart Working consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende. Consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana infatti, permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi. Questo porta a un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.

Gli effetti su engagement e benessere

In base alla modalità di lavoro adottata, è possibile identificare tre profili di lavoratori: on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, lavoratori remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e smart worker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano secondo una logica orientata agli obiettivi. Analizzando il benessere dei lavoratori sia dal punto di vista psicologico che relazionale, gli smart worker hanno migliori risultati sia rispetto agli on-site worker sia ai lavoratori remote non smart.

Questi ultimi mostrano livelli di benessere più bassi non solo rispetto agli smart worker, ma su molte dimensioni anche rispetto ai lavoratori on-site che non hanno la possibilità di lavorare da remoto. La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement. I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smart worker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato.

I lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro invece, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smart worker, ma anche ai lavoratori on-site (12%). Il solo lavoro da remoto, se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi, non porta benefici né a livello personale né organizzativo. Può invece condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site.

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Marzia Ramella

Scrivo di libri, film, tecnologia e cultura. Ho diversi interessi, sono molto curiosa. La mia più grande passione però sono i libri: ho lavorato in biblioteca, poi in diverse case editrici e ora ne scrivo su Orgoglionerd.

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