Le aziende italiane non conoscono abbastanza i propri clienti. Questa è la preoccupante conclusione di Alberto Bazzi, Direttore Offering & Operations di Minsait in Italia, nell’era dell’informazione e dell’economia dei dati.
Lo conferma anche l’ultimo rapporto degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e di Minsait. Difatti, secondo lo studio, solo il 25% delle principali aziende italiane ha una conoscenza sufficiente dei consumatori e appena l’11% ne ha una approfondita. Questo è un grave deficit in un contesto estremamente competitivo, dove le vendite dipendono dalla percezione di consumatori sempre più informati ed esigenti.
“Oggi, non conoscere i gusti e le preferenze dei clienti e, quindi, non essere in grado di offrire loro esperienze di acquisto personalizzate e memorabili, è la strada più sicura verso l’irrilevanza o, in altre parole, verso l’inesorabile e deprimente declino delle aziende nostrane”, commenta Alberto Bazzi.
Non tutto è perduto, però. Ci sono due buone notizie in questo scenario desolante. La prima è che le aziende italiane sono consapevoli della propria lacuna. La maggior parte si dà un sei su dieci nella conoscenza dei propri clienti. E come si dice, riconoscere il problema è il primo passo per risolverlo. La seconda è che, quando le aziende si decideranno a risvegliarsi dal loro torpore, come il dinosauro nel racconto di Monterosso, troveranno i dati – la vera moneta del nostro tempo – pronti ad accoglierle.
Le tre leve per le aziende italiane per migliorare la conoscenza dei clienti
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Bazzi indica tre leve per invertire la tendenza attuale e aumentare la competitività. Si tratta di: strategia di raccolta e gestione dei dati; modernizzazione del parco tecnologico dei sistemi e delle soluzioni di gestione dei clienti; e adattamento delle organizzazioni italiane.
Realizzare una data strategy degna di questo nome significa superare l’attuale immaturità nella raccolta, gestione, integrazione e sfruttamento dei dati che i consumatori condividono con le aziende (in cambio di un servizio migliore, non lo dimentichiamo). È incredibile, ma oggi solo un’azienda su quattro riesce a raccogliere i dati derivanti dalle interazioni dei consumatori (interazioni basic come il contatto con i venditori, la navigazione sul web e sui social network, tra le altre). E ancora meno aziende (17%) riescono a recuperare dati sul comportamento, sui gusti e sulle preferenze dei consumatori.
In secondo luogo, non possiamo pensare di gestire grandi e complessi database con un foglio di Excel. La gestione e lo sfruttamento dei dati richiede, almeno, un investimento in piattaforme centralizzate (CDP, oggi adottate da meno della metà delle aziende italiane). Da qui, le aziende hanno oggi a disposizione opzioni tecnologiche molto sofisticate, come i software di Voice of the Customer o le piattaforme di Marketing Automation, capaci di interagire in modo quasi personale con gruppi micro-segmentati di clienti. Il tutto arricchito, ovviamente, dall’onnipotente e onnipresente intelligenza artificiale, che sta già permeando molti dei sistemi di interazione più avanzati e che le aziende italiane vedono (a ragione) come la grande speranza per la loro offerta di customer experience. Tuttavia, gli strumenti AI più all’avanguardia non saranno efficaci senza il terzo elemento: una struttura organizzativa con una visione unica, coerente e integrata del cliente.
Oggi, meno della metà delle medie e grandi aziende ha un’organizzazione di questo tipo. Inoltre la tendenza generale è quella di una gestione frammentata e miope. Per molti, l’omnichannel è solo uno strano abito passato di moda. Un abito chiuso nell’armadio senza essere mai stato indossato.
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