In occasione del Google Cloud Summit, tenutosi a Milano il 27 giugno, abbiamo avuto l’opportunità di effettuare un’intervista a Alessandro Pittore, Senior Client Executive presso Red Hat.
Abbiamo colto l’occasione per discutere alcune tematiche care sia a Red Hat che a Google, ossia cloud e intelligenza artificiale, portando anche l’attenzione alle problematiche che le aziende riscontrano nell’adottare queste tecnologie.
Le andrebbe di presentarsi ai nostri lettori? Qual è stato il suo percorso professionale e di cosa si occupa all’interno di Red Hat?
In azienda mi occupo di aiutare i cloud service provider, come Google Cloud, a portare soluzioni e servizi basati su tecnologie Red Hat sul mercato . Alle spalle ho 30 anni di esperienza nel mondo dell’IT: per 20 anni ho lavorato IBM, passando per EMC Square, Oracle e Veritas, atterrando finalmente in Red Hat nel 2020 come account manager, occupandomi inizialmente del mondo finance.
Può parlarci della storia della partnership tra Red Hat e Google Cloud?
La partnership con Google è partita nel 2013, e ha visto le aziende unire le loro forze per sviluppare quella che oggi è la piattaforma Kubernetes, uno strumento open source per la gestione dei container. Negli ultimi anni è nata anche una partnership di tipo commerciale, che vede l’inserimento di prodotti Red Hat all’interno dei servizi Google. Questi prodotti, tra i quali figurano soluzioni ormai leader di mercato come Red Hat OpenShift, sono ora infatti acquisibili tramite i marketplace di Google.
Questo è un elemento importante, perché negli ultimi anni stiamo assistendo a un’enorme crescita di quello che è il ruolo del marketplace. Infatti, il marketplace degli hyperscalers sta modificando quella che è l’attuale catena di distribuzione delle tecnologie. Stando a recenti statistiche pubblicate da Gartner, circa il 45% delle acquisizioni di software avvengono appunto tramite i marketplace.
Due delle principali soluzioni offerte dalla vostra azienda sono OpenShift e HyperShift. Può spiegare ai nostri lettori di che cosa si occupano questi prodotti?
OpenShift è una piattaforma che si occupa dell‘orchestrazione di tutto quello che è il mondo del container. Come dicevo prima, è leader di mercato, ed è nata come un’installazione on premise, che poi nel tempo si è evoluta verso il cloud, diventando un denominatore comune dei servizi erogati dagli hyperscaler. Con OpenShift, un’azienda può spostare tutti i carichi di lavoro da un hyperscaler all’altro, oppure riportarli on-premises.
HyperShift, invece, è una tecnologia nata inizialmente da un’esigenza degli hyperscaler, in seguito evolutasi in una soluzione per virtualizzare i control plane dei cluster OpenShift. Con questa tecnologia, Red Hat porta un beneficio in termini economici all’hyperscaler, che è così in grado di dare un cluster dedicato a ogni singolo cliente facendo economia di scala sull’infrastruttura.
Eppure in Italia, ma anche in altre parti del mondo, molte aziende sono restie a passare da on-premises al cloud. Secondo lei, qual è il motivo?
C’è stato uno studio nel quale si è rilevato che il principale inibitore del cambiamento all’interno di un’azienda, come potrebbe essere quello dell’adozione del cloud, è quello del mantenimento dello status quo. Un antidoto a questo bias è la formazione: sapere a cosa si va incontro quando si vuole passare da un’infrastruttura on-prem a una nel cloud aiuta a valutare in modo equo rischi e benefici.
Un altro problema è la gestione dei costi. È molto difficile stimare il costo del cloud, perché richiede sforzi da parte dell’azienda, del provider e dei vendor per stabilire quali sono gli obiettivi strategici da raggiungere e i carichi di lavoro. Anche qui la formazione svolge un ruolo fondamentale. Noi di Red Hat supportiamo i nostri clienti con corsi di formazione atti a fornire le competenze necessarie per valutare correttamente gli impatti tecnologici del cloud sul loro business.
Spostiamo il nostro focus sull’AI. A suo parere, in futuro, anche le PMI italiane potranno addestrare modelli di intelligenza artificiale su misura o rimarrà una prerogativa delle grandi aziende che se lo possono permettere?
Dato che buona parte delle aziende italiane sono inserite in uno scenario di aggregazione consortile, è possibile che in futuro si possa assistere allo sviluppo di modelli per settori di mercato: una piccola azienda che non dispone delle risorse economiche e delle competenze tecniche potrà appoggiarsi a queste realtà, anche regionali, per acquisire la propria base di training. Anche il passaggio al cloud può essere una buona scelta, permettendo a una piccola o media impresa di demandare il carico lavorativo a un hyperscaler.
Un’ultima domanda, può parlarci dei recenti annunci dell’azienda?
Negli ultimi mesi abbiamo annunciato nuove tecnologie nell’ambito dell’intelligenza artificiale, tra le quali OpenShift AI, che permette di gestire all’interno del mondo OpenShift i modelli LLM di più vendor. Inoltre, in partnership con IBM, abbiamo lanciato Instruct Lab, una piattaforma open source dove chiunque può contribuire al training del modello di intelligenza artificiale.
Un altro importante annuncio è stato quello di OpenShift Virtualization, che permette di gestire all’interno di OpenShift tutto ciò che concerne il mondo della virtualizzazione. L’obiettivo di questa soluzione è racchiudere containerizzazione e virtualizzazione in un’unica piattaforma per garantire una comunicazione migliore tra ambienti tradizionali e moderni. Questa soluzione, oltre a ridurre le latenze e migliorare le performance, permette di modernizzare i carichi di lavoro, anche quelli legati al mondo dell’AI.
Ringraziamo Alessandro Pittore per l’interessante intervista. Vi invitiamo a consultare il portfolio di soluzioni open source di Red Hat presso il loro sito, disponibile qui.
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