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l’AI e la trasformazione del mondo del lavoro: la visione di Workday

Intervista a Jens Löhmar, CTO Continental di Workday

Si è recentemente tenuto a Milano Workday Elevate; un evento focalizzato su come l’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro. Workday è una multinazionale che integra e gestisce con l’AI due aspetti molto importanti per i suoi clienti: finanza e gestione del personale; per capire meglio soprattutto il secondo aspetto abbiamo intervistato il loro CTO Continental: Jens Löhmar.

Innanzitutto, grazie per averci concesso questa intervista. Può iniziare presentandosi ai nostri lettori? Che ruolo svolge in Workday e quale è stato il suo percorso professionale per arrivarci?

Sono entrato in Workday nel 2017 e attualmente sono il CTO per l’Europa continentale e la regione DACH [Germania, Austria e Svizzera n.d.r.]. Si tratta quindi di mettere a frutto le esperienze maturate in sedici anni di lavoro in SAP in diversi ruoli: come project manager, business architect e anche come engagement manager per applicazioni personalizzate.

Come potete immaginare, è un cambiamento radicale, passare da una piattaforma come SAP, su cui vengono sviluppate molte applicazioni personalizzate, a Workday, che per anni è stato un servizio software multi-tenant. Ovverosia, transitare verso una realtà che incoraggia quindi i clienti ad attenersi agli standard e a delle configurazioni predefinite. Sono però davvero entusiasta di far parte dell’ufficio del CTO, che si occupa di prodotto e tecnologia. Il mio ruolo è quello di far conoscere Workday ai responsabili IT, promuovere il nostro approccio alle soluzioni cloud per la gestione aziendale e parlare degli argomenti di grande attualità, come l’intelligenza artificiale, spiegando perché pensiamo di essere all’avanguardia in questo settore.

Recentemente avete svolto un’indagine sull’adozione dell’AI nelle aziende. In questa indagine si sottolinea che c’è ancora scetticismo nell’adozione della tecnologia. Possiamo approfondire questo aspetto?

Si tratta di  un sondaggio preparato per l’ultimo World Economic Forum, che si è tenuto a novembre. Dato che l’intelligenza artificiale è un argomento molto attuale, abbiamo condotto un sondaggio che ha coinvolto sia dirigenti che dipendenti. È stato davvero interessante ed era incentrato sul divario di fiducia che stiamo osservando nei confronti dell’AI.

Il 62% dei dirigenti era piuttosto fiducioso sul fatto che l’AI avrà un impatto significativo sul proprio business in futuro. A livello di dipendenti, la situazione sembrava già un po’ diversa: solo il 52% dei dipendenti pensa che l’AI avrà un impatto significativo sull’azienda. Poi, quando si tratta di mettere le cose in pratica, pensando ai casi d’uso, una delle domande centrali è: “L’IA sostituirà gli umani o ne amplificherà il loro potenziale?”. E questo era il secondo quesito.

Ebbene, tra la prima e la seconda domanda il divario si è leggermente accentuato. Perché i dirigenti hanno affermato con sicurezza di voler adottare un approccio centrato sull’essere umano, mentre solo uno su quattro dipendenti si è detto davvero fiducioso del fatto che la propria azienda metterà le persone al primo posto. Inoltre, solo un dipendente su cinque ha affermato di essere fiducioso nell’implementazione di principi etici per l’AI. Quindi, questo divario di fiducia è davvero evidente a livello globale.

Pertanto, questo divario tra il potenziale dell’AI e la sua effettiva possibilità di essere utile agli esseri umani è davvero significativo. Se guardiamo un po’ più in dettaglio, si tratta di stabilire una governance etica dell’AI all’interno di un’azienda. Solo il 42% dei dipendenti ha fiducia nel fatto che l’azienda stia davvero implementando questa governance per garantire che i casi d’uso vengano convalidati e implementati di conseguenza.

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E c’è di più: le aziende italiane, pur essendo un po’ più fiduciose a livello dirigenziale, devono comunque affrontare questo aspetto. Devono occuparsene le aziende stesse, ma anche noi come Workday. Quando parliamo di AI, dobbiamo assicurarci che ci sia fiducia in ciò che forniamo e in come possa effettivamente amplificare il potenziale umano.

Rimanendo su questo argomento, abbiamo già avuto un’esperienza simile con l’introduzione del cloud computing. Per alcuni è stata, purtroppo, una occasione per tagliare posti di lavoro. Nella sua esperienza, pensa che lo scetticismo possa dipendere anche da questo?

Certo, posso immaginarlo. Penso però che, se cerchiamo un filo conduttore, si tratta del cambiamento. È una naturale reazione umana essere scettici di fronte a qualsiasi tipo di cambiamento, giusto? Voglio dire, anche io, vedete, non sono più giovanissimo.

Quindi, parlando del passaggio dall’on-premise al cloud, che ho sperimentato in prima persona, c’erano molti clienti scettici all’idea di affidare i propri dati a un fornitore. C’era poi l’impatto sui team, per il passaggio dalle infrastrutture ai servizi ospitati. Dunque, sì, credo che sia il cambiamento a rappresentare un fattore umano.

È importante essere trasparenti su questo cambiamento e rassicurare le persone sul fatto che le cose si stanno muovendo nella direzione giusta.

E Workday che cosa sta facendo per aiutare i suoi clienti a colmare questo divario di fiducia?

Prendiamo la cosa molto seriamente. Abbiamo iniziato a lavorare con l’AI dieci anni fa. Quindi, come azienda, abbiamo già fatto molta strada. Abbiamo iniziato con il cloud e ci siamo resi conto che c’era un enorme potenziale nell’aggiungere l’intelligenza artificiale alla nostra soluzione. Durante questo processo, abbiamo strutturato un framework di intelligenza artificiale responsabile all’interno della nostra azienda. Si tratta di un’area organizzativa dedicata che si occupa dell’argomento ed è basata su quattro principi fondamentali. Si tratta dei principi stessi dell’IA, le pratiche e le procedure aziendali e infine le persone.

Il primo elemento, i principi dell’AI, credo sia molto importante perché determina come selezioniamo i casi d’uso, come li implementiamo e li mettiamo in esercizio. Si tratta davvero di mettere al centro il potenziale umano per avere un impatto positivo sulla società. Anche la AI generativa rientra all’interno di questo disegno. Quindi, scegliere i modelli giusti e scegliere le basi di implementazione giuste è la stella polare che ci guida nelle scelte.

Per quanto riguarda le procedure, significa rendere tutto operativo scegliendo i casi d’uso giusti. Come raccogliere i dati, come addestrare i modelli, fino a come garantire che l’etica e la distorsione siano considerate in modo appropriato.

Tutto questo ci fornisce dei punti di contatto con i nostri clienti. Perché si trovano nella nostra stessa situazione. Anche se utilizzano la nostra intelligenza artificiale, devono formare i propri dipendenti e assicurarsi di essere in sicurezza.

Per essere sicuri che questo sia un processo continuo, documentiamo tutte le nostre funzionalità. Abbiamo già più di 14 funzionalità di AI in produzione, in modo che ogni cliente possa esaminarle in modo completo. Che tipo di dati vengono elaborati, come vengono addestrate, come vengono distribuite e come ne viene verificata l’etica. In questo modo i clienti possono prendere decisioni informate sull’utilizzo o meno di una funzionalità e, allo stesso tempo, condividere queste informazioni anche con i loro dipendenti.

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Guardando su una scala molto ampia, tipo a livello europeo, quale pensa possa essere il futuro di questa adozione dell’AI?

Penso che l’IA sarà davvero di grande aiuto per le aziende. Permetterà di aumentare notevolmente l’efficienza, prendere decisioni migliori basate sui dati e avrà un impatto significativo sul modo in cui gli utenti interagiscono con il servizio in termini di esperienza utente. Tutti elementi possono essere quantificati in termini di valore aggiunto.

Sicuramente, l’aumento dell’efficienza è oggi una priorità per tutti. Questo perché ogni azienda si trova ad affrontare contesti macroeconomici diversi, con i relativi problemi di costo. Dunque, i tre elementi che dicevamo aiutano davvero le aziende a navigare in periodi di incertezza. A seconda del settore che consideriamo, Workday fornisce soluzioni per la gestione del capitale umano, la gestione finanziaria e la pianificazione, integriamo AI in tutte quante.

E, rimanendo sempre in contesto europeo, come vi state rapportando con l’Ai Act?

Abbiamo un team dedicato alle politiche pubbliche. Si tratta di un team globale in stretto contatto con tutte le autorità dei vari Paesi e regioni. Pertanto, siamo stati coinvolti fin dalle prime fasi come consulenti nelle diverse bozze dell’AI Act dell’Unione. Riteniamo di aver maturato una grande esperienza che altre aziende non hanno ancora. Quindi, era davvero importante per noi guidare l’UE nella stesura dell’AI Act. Siamo abbastanza soddisfatti della prima versione.

È stata realizzata un po’ in fretta, quindi è ancora un po’ complessa e potrebbe essere più precisa in alcuni parti. Ma per quanto riguarda noi e il nostro portafoglio di soluzioni, siamo abbastanza contenti, soprattutto nell’ambito dell’HCM [Human Capital Management n.d.r], perché si tratta di dati personali, che sono sempre un po’ a rischio. Quindi, siamo soddisfatti dell’approccio basato sul rischio scelto dall’UE per valutare le capacità dell’AI nell’area della gestione del personale.

L’AI Act contribuirà, a lungo termine, a creare fiducia anche tra le aziende e, soprattutto, tra i dipendenti e le rispettive società.

Ora vorrei invece scalare verso il basso. Per le PMI, che sono la spina dorsale del nostro tessuto produttivo, che cosa potete fare?

Mi piace molto questa domanda, perché ci riporta a uno dei principi fondamentali della nostra soluzione. Workday ha iniziato nel 2005 come fornitore esclusivo di SaaS multi-tenant, quindi non offriva alternative come soluzioni ibride o on-premise. Da allora, dalla sua fondazione, è cresciuta fino a superare i 10.000 clienti, un numero impressionante. Tuttavia, in totale, sono oltre 65 milioni gli utenti che lavorano costantemente e interagiscono con lo stesso modello uniforme di dati. Quando parliamo di intelligenza artificiale, qual è la cosa più importante? I dati!

Ed è proprio qui che ci troviamo in una posizione unica rispetto ai concorrenti, soprattutto per le aziende più piccole. Perché normalmente queste non possiedono la massa critica di dati necessaria per sviluppare una propria intelligenza artificiale. Non per tutti i casi d’uso dell’AI, ma per la maggior parte, utilizziamo i dati di tutte le aziende in modo anonimo. Quindi, quando parliamo di PMI, Workday e Workday AI possono avere un impatto significativo perché le PMI che scelgono le nostre funzionalità di intelligenza artificiale beneficiano della conoscenza collettiva dei nostri clienti. Questo vale soprattutto per i clienti più piccoli.

Vorrei chiudere l’intervista parlando di HR. Si discute molto oggi dell’uso dell’intelligenza artificiale per la selezione del personale. Che tipo di reazione hanno le persone ad essere valutate da un sistema automatico?

Credo che la paura più grande sia proprio quando si parla di HR. Proprio per il fatto di essere valutati o giudicati dall’IA. E poi c’è sempre, come sapete, il divario di fiducia di cui abbiamo parlato prima; dipende molto dai casi d’uso. Quindi, se non si fornisce trasparenza sui casi d’uso, ci saranno timori nascosti. È semplicemente umano, no? Tuttavia, se si implementa  la procedura in base a casi d’uso chiari e specifici e ci si assicura o trasmette il messaggio e la sensazione che l’uomo è sempre al centro, allora il quadro è diverso. Lasciatemi fare un esempio.

Con la nostra soluzione HCM, stiamo supportando le trasformazioni basate sugli skill, le abilità di una persona. Quindi, ci stiamo allontanando un po’ dalle competenze e dalle qualifiche che sono un po’ più strutturate all’interno delle aziende per integrare queste abilità  in tutto il ciclo di vita del dipendente, iniziando con l’assunzione, Supportiamo il processo di assunzione con una valutazione delle abilità basate sull’AI. E questi casi d’uso sono fantastici perché in realtà eliminano i pregiudizi durante il primo stadio. L’essere umano fa sempre parte del processo, come recruiter o come responsabile delle assunzioni, e può quindi introdurre dei pregiudizi in seguito, ma è normale.

Tuttavia, il fatto di  concentrarsi sulle abilità e poi far sì che i candidati le articolino viene affiancato anche dall’estrazione di informazioni da un CV o da una candidatura per un confronto con le competenze richieste in un annuncio di lavoro.SI può capire così quanto un candidato è vicino alle competenze che stiamo cercando.Ed è un bellissimo esempio perché, sapete, in realtà si mettono da parte sesso, razza, etnia e molto altro per concentrarsi davvero solo sulle abilità. Ecco perché mi piace sempre portare questo esempio; perché è esattamente l’opposto di ciò che fa paura. Vuol dire migliorare e diventare più equi, essere più giusti nel processo di selezione dei candidati.

E la Gen-Z, è spaventata dal fatto di essere selezionata da un sistema di AI?

Per questa domanda vorrei ampliare un po’ il quadro. Quando introduco le trasformazioni basate sugli skill, non si tratta solo di selezione del personale, ma anche di onboarding. Equivale a offrire possibilità di crescita e sviluppo individuale. Cose del tipo “quali sono le mie competenze in questo momento e quali competenze vorrei acquisire a livello personale?” oppure “dove mi vedo?”. E questo anche all’interno dell’azienda, quando si parla con un manager per allinearsi anche sugli obiettivi aziendali. E questo è il secondo aspetto in cui una soluzione in cloud basata sulle competenze e guidata dall’AI può entrare in gioco.

L’intelligenza artificiale può offrire esperienze totalmente diverse, come suggerimenti su come guidare la crescita personale, o sul tipo di apprendimento. Quindi, può far emergere contenuti formativi in base a competenze e interessi, Può mettere in contatto i dipendenti con dei tutor o con dei colleghi all’interno dell’azienda, proponendo, ad esempio, incarichi temporanei. Progetti temporanei per un ulteriore sviluppo individuale.

Mi scuso per l’introduzione un po’ lunga, ma sai, quando guardiamo alla Gen-Z, capiamo che desidera avere il controllo della propria crescita. Vogliono essere artefici del proprio sviluppo, ed è proprio qui che l’Intelligenza Artificiale entra in gioco, perché tutte queste possibilità di crescita non sarebbero possibili in maniera automatizzata senza di essa. L’AI risponde perfettamente alle esigenze della Gen-Z, offrendo strumenti self-service per la crescita e la pianificazione della carriera.

Penso, e questa è una mia opinione personale, che la Gen-Z desideri avere a disposizione queste funzionalità supportate dall’AI perché rispondono esattamente alle sue esigenze.

La redazione ringrazia Jens Löhmar di Workday per questa lunga e dettagliata discussione sulla AI e sul futuro del lavoro

Tutti questi argomenti e molto altro sono stati affrontati durante Workday Elevate. Se volete approfondire, potete consultare il sito web dedicato all’evento; dove saranno presto rese disponibili le registrazioni delle sessioni plenarie.

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Autore

  • Dario Maggiorini

    Si occupa di tecnologia e di tutto quello che gira attorno al mondo dell'ICT da quando sa usare una tastiera. Ha un passato come sistemista e system integrator, si è dedicato per anni a fare ricerca nel mondo delle telecomunicazioni e oggi si interessa per lo più di scalabilità e sistemi distribuiti; soprattutto in ambito multimediale e per sistemi interattivi. Il pallino, però, è sempre lo stesso: fare e usare cose che siano di reale utilità per chi lavora nel settore.

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