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VMware e l’immagine di un’azienda in piena trasformazione

Intervista a Joe Baguley, CTO EMEA di VMware by Broadcom

VMware è un’azienza molto popolare, quasi storica, nel panorama della virtualizzazione dei sistemi di calcolo; sebbene non abbia inventato lei la virtualizzazione, è stata la prima a renderla davvero disponibile agli utenti finali, molti anni fa. Con il porgressivo affermarsi della tecnologia del cloud, in quanto leader nella virtualizzazione di server, VMware sta giocando un ruolo chiave sotto molti aspetti in campo ICT; inoltre, oggi, è impegnata anche in un complesso percorso di trasformazione interna a seguito della sua recente acquisizione da parte di Broadcom.

Da poco, infatti, VMware è diventata parte di Broadcom: una multinazionale che tratta di semiconduttori e software di infrastruttura molto focalizzata sulle tecnologie per data center. In questo momento, quindi, molte aziende e professionisti sono ansiosi di capire dove porterà questa nuova fase della vita di VMware. Per capirlo a bbiamo avuto l’opportunità di intervistare Joe Baguley, CTO EMEA di VMware by Broadcom e gli abbiamo chiesto della trasformazione in corso.

Buongiorno Joe, e grazie per averci concesso questa intervista. Iniziamo parlando di lei; può presentaresi brevemente ai nostri lettori?

Ci potremmo fare una lezione di storia, ma cercherò di essere breve. MI chiamo Joe Baguley e sono il Chief Technology Officer di Broadcom per Europa, Medio Oriente e Africa. Prima dell’acquisizione di VMware, a novembre dell’anno scorso, ricoprivo lo stesso ruolo per EMEA presso VMware. Sono in VMware/Broadcom oramai da 13 anni.

Prima di arrivare qui ero in Quest Software: una società che alcuni di voi potrebbero aver sentito nominare, venduta a Dell nel 2011. Sono stato lì per 10 anni come CTO per l’Europa. Prima di quello, però, ho fatto un sacco di lavori strani e scorrelati tra loro che andavano dallo sviluppo di Active Directory al deployment di Windows 95 nelle piattaforme petrolifere, ma anche molto altro. Lavoro in aziende di software aziendale, sviluppando e distribuendo soluzioni per i clienti, da oltre 25 anni.

Essere coinvolti nella fusione tecnologica di due aziende così grandi sembra un compito davvero gravoso. Può raccontarci della sua esperienza?

È sempre una sfida quando due grandi aziende tecnologiche si uniscono. Però, la cosa buona di Broadcom è che era già un’azienda di software per infrastrutture. Quindi, acquisire e aggiungere a portfolio e integrare un’altra azienda di software per infrastrutture non è stato così difficile come si potrebbe pensare. Voglio dire, molte persone vedono la cosa come una grande azienda di hardware che compra una grande azienda di software, avendo peraltro già fatto forti investimenti in quella direzione con acquisizioni precedenti. Quindi, si è trattato della continuazione di un percorso ed è stato molto istruttivo e, penso che sia un buon modo di vedere la cosa, è stato anche divertente.

Quindi, si tratta di un processo continuo? Non c’è un vero e proprio obiettivo finale?

È un processo continuo, giusto. Stiamo facendo alcune cose molto rapidamente e in modo incredibilmente efficiente. Abbiamo un’enorme quantità di focus; se dovessi riassumere il grande cambiamento in una parola, è focus. Alcuni cambiamenti sono già stati visti sul mercato; molte cose le volevamo fare o cercavamo di farle da molti anni. Ora le abbiamo fatte molto rapidamente, il che è stato, come ho detto, sfidante e divertente.

Penso sempre che sia abbastanza interessante sentire qualcuno parlare di un progetto IT. Chiunque lavora nel campo dell’IT e pensa che un progetto finisce mi fa sempre ridere. Perché in realtà non si finisce mai; l’IT è tutta basata sul cambiamento. Non possiamo costruire un sistema e dire, “ok, per i prossimi 10 anni posso guardarlo funzionare! Basta monitorarlo e tutto andrà bene”. È sempre tutto quanto in continua evoluzione e cambiamento.

E questa continua evoluzione fa quindi parte del DNA di VMware?

Quando sono entrato in VMware nel 2011 eravamo circa 6 mila persone. Quando siamo stati acquisiti da Broadcom eravamo 38 mila. E questo ci fa capire il cambiamento che c’è stato anche solo in un periodo di 12 anni, ed è fenomenale. Quindi, questa acquisizione è solo un altro cambiamento che è avvenuto come parte del viaggio che stiamo facendo. La cosa grandiosa però, almeno per me, senza essere troppo commerciale, è che siamo ancora focalizzati sugli stessi obiettivi: fornire una piattaforma di cloud privato. Con Broadcom questo focus non ha fatto altro che rafforzarsi.

Per fare un esempio, io facevo parte del team che ha essenzialmente coniato il termine Software Defined Data Center, che poi è diventato così popolare sul mercato. Si tratta di un paradigma che unisce storage, rete e calcolo virtualizzati in un’unica piattaforma che i clienti possono facilmente distribuire e utilizzare. È un processo già in corso da 13 anni che però si è accelerato negli ultimi sette o otto mesi. Ed è stato molto gratificante per me, come tecnologo.

VMware by Broadcom

Quali sono i benefici per VMware derivati dal fare parte di Broadcom?

Torniamo sempre sugli stessi concetti: semplicità e focus. Prima dell’acquisizione avevamo quasi 9 mila prodotti a catalogo com oltre 168 pacchetti software. Interagire con VMware era diventato una sfida in sé, solo per capire quali prodotti acquistare, come integrarli, cosa fanno e così via. Inoltre, anche gestire le licenze e l’acquisto era una sfida e richiedeva una competenza specifica. D’ora in poi sarà tutto molto semplice: ci siamo ridotti essenzialmente a due pacchetti software e quattro prodotti in totale.

In realtà, dal punto di vista tecnologico, che è la mia prospettiva, quello che abbiamo veramente è un cambiamento di focus su come stiamo offrendo i prodotti; ed è un aspetto molto importante. Prima avevamo business units quasi separate per il calcolo, per lo storage, per il networking e per la gestione di tutto il livello di VMware Cloud Foundation che si trovava sopra. Tutti quei team di prodotto andavano in una direzione simile ma avevano obiettivi individuali. Ora abbiamo un prodotto su cui ci concentriamo tutti, che è fornire una piattaforma di cloud privato: la VMware Cloud Foundation. Una VCF che però è diversa rispetto a prima; mentre prima era una piattaforma dove i prodotti venivano inseriti e messi insieme ora è lei a governarli. E questo è uno dei motivi per cui stiamo vedendo una grande rapidità di innovazione con dei benefici fenomenali.

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Per tirare le somme, abbiamo un focus molto chiaro e una riorganizzazione che ci permette di fornire un prodotto e sta rendendo tutto molto più semplice; e i nostri clienti lo apprezzano.

Dobbiamo, come dicono alcuni, puntare il dito all’elefante nella stanza. Molte aziende e professionisti sono alla finestra cercando di capire che cosa ne sarà del vostro modello di pricing dopo l’acquisizione. Che cosa si possono aspettare?

Premetto che non mi occupo del lato commerciale delle licenze, questo è compito di altre persone, ma dal mio punto di vista quello che stiamo cercando di fare è fornire tutto ciò di cui un cliente potrebbe aver bisogno in un unico semplice pacchetto. Così, mentre prima c’era una conversazione su “Ho bisogno di questo o quel componente” e si perdeva molto tempo discutendo su quali parti fossero necessarie e quali no, ora abbiamo semplificato tutto. Abbiamo effettivamente fatto in modo che, mettendo insieme tutti i pezzi, è possibile avere un bundle che include tutto a un prezzo più economico di prima.

I nostri clienti per molto tempo hanno discusso su quali parti del nostro portfolio gestiale acquistare, quali fossero necessarie, quali potevano costruire da soli e così via. Ora che tutto è incluso nell’offerta, la conversazione è molto più semplice con loro. Una cosa del tipo “Ok, abbiamo tutto, useremo semplicemente questo, non devo preoccuparmi di quali parti sto ottenendo e quali no, se sono idoneo o meno“. Penso che la maggior parte dei clienti sarà sorpresa da ciò che può fare ora con i nostri due principali bundle software: VVF e VDF.

In realtà penso che molti clienti, nelle lore menti, stanno ancora interagendo con la VMware del 2013-2014. Pensano che sia una società di virtualizzazione da cui comprano un hypervisor per poi comprare lo storage da altri, la rete da un’altra parte ancora e così via. Ma non è la VMware del 2024, e non era nemmeno la VMware del 2018. Quando le persone si renderanno conto di tutto ciò che è disponibile e di cosa possono fare con la nuova piattaforma di cloud privato, sicuramente la penseranno diversamente.

VMware Cloud Foundation Key Features
VMware Cloud Foundation 5.2; caratteristiche principali

Altro grande argomento di questo momento storico: l’intelligenza artificiale. Come si inserisce l’AI nel vostro ecosistema?

Ci sono due temi principali quando si guarda all’intelligenza artificiale nel contesto di un’azienda di software come la nostra. Uno di questi è come usiamo l’AI nei nostri prodotti e cosa stiamo integrando. L’altro è come la nostra piattaforma supporta i nostri clienti nell’uso dell’AI.

Abbiamo inserito meccanismi di machine learning nei nostri prodotti per la gestione dell’infrastruttura già da molto tempo e continueremo a farlo in futuro. Infatti, vedrete sempre più annunci da parte nostra su questo tema. L’obiettivo è consentire ai nostri clienti di gestire la loro infrastruttura in modo più semplice. Perché, chiaramente, man mano che le infrastrutture diventano più complesse, serve più assistenza; poiché vanno oltre la comprensione di una singola persona. Questo è qualcosa su cui stiamo lavorando da molto tempo.

In termini di supporto ai carichi di lavoro per apprendimento automatico e AI, siamo in quel campo da un tempo incredibilmente lungo; da più di 10 anni. Allo stesso modo, virtualizziamo anche le GPU da molto tempo. Originariamente abbiamo iniziato a farlo per gli utenti desktop. Gli utenti finali volevano avere accesso a un pool di GPU per poterle collegare a un desktop virtuale per fare CAD o avevano requisiti computazionali elevati. Infine, un altro ambito su cui lavoriamo da molto tempo, è quello dell’offloading. Da un po’ di tempo ormai, stiamo guardando alle DPU [Data Processing Unit n.d.r.] e alle SR-IOV (schede di rete dotate di processori) per distribuire il carico di gestione di un’infrastruttura esternamente alla CPU.

Quando l’esplosione degli LLM [Large Language Model n.d.r.] è arrivata e tutti si sono entusiasmati per enormi farm di GPU, eravamo già pronti con tutti i pezzi e la tecnologia per farlo. Perché per 25 anni ci siamo occupati del livello che si trova a metà tra le applicazioni e l’hardware. Aggiungere nuovi tipi di hardware, che siano GPU, NPU, XPU o DPU è risultato piuttosto semplice per noi.

E come hanno accolto questo fenomeno i vostri clienti?

L’onda dell’AI è stata accompagnata da una sorta di resistenza da parte dei nostri clienti. C’era incertezza su dove i loro dati sarebbero stati messi. Se pensiamo ai primi tempi del cloud, tutti pensavano di mettere i loro dati in uno dei due o tre grandi hyperscaler eliminando i data center. Abbiamo imparato molto rapidamente che ciò che le persone faranno è dividere i dati in base a cosa è appropriato mettere negli hyperscaler, on-remise e sull’Edge. Quindi, quando si tratta di AI, ora vediamo un mercato molto più preparato a riguardo e le aziende pensano code del tipo “non voglio che i miei dati siano nel data center di qualche hyperscaler, non voglio che i miei dati siano usati per addestrare modelli di altri“. Infatti, stiamo vedendo leggi in Europa, nel Regno Unito e altrove che proteggono questo tipo di dati.

Quando è iniziata l’esplosione degli LLM, io e alcuni altri di VMware siamo andati dai nostri contatti presso i nostri maggiori clienti e abbiamo chiesto: “Cosa sta succedendo qui? Come lo state affrontando? Cosa pensate di fare?” Stavamo guardando i casi d’uso, i modelli di distribuzione, e come potevamo proporli nel modo migliore. Sono quindi emerse alcune tendenze. La più importante è che tanti volevano quella che il mercato ha chiamato AI privata. Ovvero, la capacità di usare modelli completi, sia costruendone di propri sia prendendone di pre-addestrati, utilizzandoli on-premise in modo sicuro, scalabile e possibilmente sulla periferia dell’infrastruttura. Questo è il motivo per cui ci sono una serie di funzionalità già in usicta, come la Private AI Foundation in collaborazione con NVIDIA, che serve esattamente a soddisfare questa necessità.

Quindi, registrate una resistenza nell’adozione dell’AI?

Credo che le persone stanno cercando di evitare due cose. Da una parte, non vogliono un altro grande silo di infrastruttura nel loro data center. Con l’AI, c’è il rischio di dover acquistare un sistema dedicato da mettere poi in un angolo, come fosse un mainframe, e da gestire diversamente; con un approccio alla sicurezza diverso e così via. Dall’altra parte, non vogliono costruire qualcosa nel cloud pubblico che potrebbero rimpiangere o che potrebbero non essere in grado di usare a causa delle normative in arrivo Quindi, preferiscono fare cose on-premise, sull’Edge, o solo dove necessario e in modo flessibile. È stato questo a spingerci verso la Private AI Foundation.

Per cui, se capisco bene, oggi c’è più consapevolezza

Stiamo vedendo un livellamento del ciclo di hype. I clienti iniziano a capire quali sono i casi d’uso reali e ora stanno affrontando la sfida dei database e dei dati. Molti pensano che si possa puntare un AI verso un grande data lake accumulato negli ultimi 20 anni e ottenere risultati magici. Poi si rendono conto che devono mettere tutto in database vettoriali e avere a che fare con RAG [Retrieval Augmented Generation n.d.r.]. La buona notizia, però, è che stiamo arrivando a veri scenari applicativi con i clienti che utilizzano i propri dati nei loro data center. Inoltre, stiamo facendo anche un sacco di uso di AI sull’Edge.

Il mio lavoro come CTO è sempre quello di guardare attraverso l’hype e trovare il modo migliore per investire il nostro tempo e avere successo. E questo è possibile grazie alle conversazioni che ho ogni giorno con i nostri clienti.

Joe Baguley, CTO EMEA di VMware by Broadcom

Altro argomento di cui non possiamo non parlare è la cybersecurity. Già da tempo VMware fa un discorso di sicurezza di endpoint piuttosto che perimetrale; il vostro approccio è rimasto invariato?

Questo è per noi un tema di discussione da lungo tempo. Penso che il concetto di sicurezza perimetrale sia ormai morto da molto, molto tempo. Sin dall’inizio, quando abbiamo introdotto le Software Defined Network, uno dei concetti chiave è stato, come lo chiamano alcune persone, quello dei microfirewall. Essenzialmente, abbiamo definito dei contesti di sicurezza sulla base di ogni singolo workload. Quindi, piuttosto che dire una macchina è sicura o che un data center è sicuro, diciamo che un particolare container è sicuro. In realtà, ciò si traduce in un cambiamento nel modo di pensare sia l’infrastruttura che l’architettura.

Ieri pensavano alle cose come fisiche e le consideravamo semplicemente virtualizzate; per cui avavamo un firewall pieno di regole. Queste regole definivano cosa parlava con cosa diventando insostenibili e molto insicure con infrastrutture di grandi dimensioni. Questo perché si accumulano regole obsolete e tutto finiva per diventare un incubo. Noi abbiamo spazzato via tutto ciò molti anni fa con quello che ora si chiama NSX, che è il nostro networking virtualizzato.

Oggi per noi, il firewall è una funzione di ogni macchina virtuale stessa. Quindi, in sostanza, diciamo che un certo container può comunicare solo con un container, e il sistema su cui quei container girano ne gestisce il contesto di sicurezza. Il punto è che possiamo spostare quei container ovunque all’interno dell’infrastruttura, dal cloud privato, all’Edge fino al cloud pubblico, ma quelle regole su cosa può comunicare con cosa rimangono le stesse. Se volessimo fare la stessa operazione utilizzando un firewall tradizionale le sfide di sicurezza se sarebbero terribili. Inoltre, la cosa importante è che le regole di sicurezza sono definite in profili di gestione, per cui appaiono e scompaiono magicamente quando una macchina virtuale o un container vengono creati o eliminati. Questo perché fanno parte della definizione di quel dispositivo anziché essere contenute e gestite in qualcosa di esterno.

Quello che abbiamo descritto è un cambiamento di approccio fondamentale e che penso molte persone debbano ancora affrontare. Oggi stiamo ancora vedendo un mondo ibrido di sicurezza fisica e firewall fisici misti ad elementi virtualizzati.

Quindi, volendo riassumere l’intervista in chiusura, quella che ci troviamo di fronta oggi è una VMware profondamente diversa nei prodotti ma non negli obiettivi rispetto anche solo a pochi anni fa

Penso che la cosa più importante da portare a casa, se vogliamo riassumere, è che ciò che VMware sta fornendo oggi è una soluzione di cloud privato sicura e scalabile e non una soluzione di virtualizzazione. Quindi, è possibile avere una piattaforma di cloud privato da gestire on-premises o usare le licenze in un cloud pubblico. Questo è il punto. Si tratta di come forniamo questa piattaforma cloud virtualizzata facile da consumare e da usare. Infatti, se si guardano i nostri ultimi annunci, tutto va in quella direzione.

Con VCF Import è possibile migrare dai nostri precedenti prodotti al nuovo VMware Cloud Foundation in-place. Senza comprare nuovo hardware e senza fare una nuova installazione per trasferire i dati in un secondo momento.

Un secondo aspetto, che personalmente mi entusiasma molto, è quello del live patching. Stavamo cercando di realizzarlo da circa 8 anni ma, ora sotto Broadcom, siamo stati in grado di riuscirci. Prima, se un host fisico aveva macchine virtuali in esecuzione e doveva essere aggiornato, ciò che dovevamo fare era spostarle su un altro host fisico per poi riportarle indietro dopo l’aggiornamento. Ora non più. Ora è possibile aggiornare is sistema ospitante senza spostare il carico di lavoro.

Stiamo quindi cercando di rendere tutte le operazioni il più facile, robuste, sicure e operativamente semplice possibile.

La redazione ringrazia Joe Baguley per questo interessante confronto in cui ci ha raccontato dell’evoluzione di VMware all’interno di Broadcom e di come l’azienda sia oggi molto diversa rispetto anche a solo pochi anni fa. Tutti gli interessati possono approfondire il nuovo portfolio semplificato delle offerte di VMware, sul sito web dell’azienda.

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Autore

  • Dario Maggiorini

    Si occupa di tecnologia e di tutto quello che gira attorno al mondo dell'ICT da quando sa usare una tastiera. Ha un passato come sistemista e system integrator, si è dedicato per anni a fare ricerca nel mondo delle telecomunicazioni e oggi si interessa per lo più di scalabilità e sistemi distribuiti; soprattutto in ambito multimediale e per sistemi interattivi. Il pallino, però, è sempre lo stesso: fare e usare cose che siano di reale utilità per chi lavora nel settore.

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