Occupazione

Il Job Hopping è in continua crescita tra i giovani

Se in passato la permanenza in un’unica azienda per lunghi periodi era considerata un segnale di affidabilità, oggi il job hopping – ovvero la tendenza al cambiamento frequente del proprio lavoro – sta guadagnando terreno, soprattutto tra le nuove generazioni. Questa è un’evoluzione significativa dei modelli di carriera.

Job Hopping, il cambiamento del mondo del lavoro

Secondo Reverse, società internazionale di headhunting e HR, questo fenomeno sta diventando sempre più rilevante anche in Italia. Ciò ovviamente spinge le aziende a riconsiderare il proprio approccio alle assunzioni e alla gestione del personale.

Il tessuto aziendale in Italia è caratterizzato da piccole e medie imprese che sono per lo più a conduzione famigliare, legate a una tradizione di lavoratori che trascorrono la propria carriera in un unico posto” commenta Silvia Fiori, Executive di Reverse. “Ciò porta a un preciso mindset: sia Boomer sia Generazione X – entrate nel mondo del lavoro quando esisteva ancora il “posto fisso” – hanno sempre considerato la lunga permanenza in azienda come un indicatore di professionalità e serietà, e i cambi come un chiaro segnale di inaffidabilità”.

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Le nuove generazioni guidano il cambiamento

Il job hopping è ormai una realtà consolidata nei mercati del lavoro più dinamici, come quello statunitense o britannico. Purtroppo, in Italia ha incontrato maggiori resistenze culturali. Tradizionalmente, i lavoratori italiani delle generazioni Boomer e Gen X sono rimasti nella stessa azienda per oltre 12 anni in media. Questo è in linea con la cultura della stabilità lavorativa tipica del Paese. Tuttavia, il report di LinkedIn evidenzia che i Millennial e la Gen Z cambiano lavoro in media 4.2 volte nei primi 10 anni di carriera. Questo trend è inoltre in continua crescita.

Secondo uno studio dell’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro, il numero di professionisti che ha cambiato azienda almeno due volte in 24 mesi è aumentato considerevolmente. Questo fenomeno non è frutto di semplice instabilità. Esso infatti è dettato dalla ricerca di migliori opportunità economiche, di crescita professionale e di un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro.

Job Hopping: un nuovo approccio delle aziende al cambiamento del lavoro

Fino a poco tempo, fa un curriculum con frequenti cambi di lavoro era visto con sospetto. Ma oggi le aziende italiane stanno iniziando a comprenderne le motivazioni. Reverse sottolinea come il cambiamento sia in atto. Il job hopping infatti non è più automaticamente considerato un segnale negativo. Viene infatti viene analizzato caso per caso per valutare se possa essere espressione di un percorso di crescita consapevole.

Ma l’accettazione del fenomeno non è omogenea in tutti i settori. IT, tecnologia e ingegneria sono ambiti in cui la carenza di personale qualificato rende i lavoratori più liberi di scegliere tra diverse opportunità. Qui il job hopping è più comune perché la domanda supera l’offerta e i professionisti sono costantemente corteggiati dalle aziende. Al contrario, in settori più tradizionali come il bancario il ricambio del personale è molto più lento e il job hopping meno diffuso.

Faccio un esempio di un caso emblematico: alcuni mesi fa ho seguito una candidata della Generazione Z nell’ambito digital tech che aveva cambiato lavoro ogni due anni alla ricerca di una sempre maggiore crescita professionale. Ho dovuto insistere con l’azienda affinché considerasse il suo profilo, poiché temevano che se ne sarebbe andata rapidamente in assenza di una veloce progressione di carriera” racconta Silvia Fiori di Reverse.

Ella conclude: “Recentemente invece, mi capita sempre più spesso che siano le aziende stesse a riconoscere che si tratta di un fenomeno generazionale e a sforzarsi di non giudicare un candidato sulla base del numero di posti di lavoro che ha inserito in curriculum.”

Il ruolo chiave dei recruiter

Le aziende si trovano di fronte a una sfida complessa. Infatti è di vitale importanza saper attrarre e trattenere talenti in un contesto in cui le nuove generazioni danno priorità a fattori diversi rispetto al passato. Oltre alla retribuzione, oggi i lavoratori valutano elementi come opportunità di carriera, ambiente lavorativo, work-life balance e benefit aziendali. Ignorare queste richieste significa rischiare di perdere le risorse migliori.

In questo scenario, i recruiter e i professionisti delle risorse umane assumono un ruolo sempre più centrale come mediatori culturali tra il vecchio e il nuovo modello di impresa. Il loro compito non si limita più alla selezione e all’assunzione, ma si estende all’intero percorso lavorativo del dipendente.

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