Il 2020 è stato un anno complesso. Tanti eventi, a partire dall’emergenza sanitaria, hanno rivoluzionato il nostro mondo. Ogni mese, settimana, giorno, è stato necessario per ciascuno di noi rivedere il proprio approccio, le proprie priorità. Questo è particolarmente vero poi per le aziende, che si sono dovute necessariamente trasformare. Evoluzioni da sviluppare con un approccio resiliente, di chi si adatta alle novità senza mai crollare sotto il loro peso. Ed è proprio a questo tema che Glickon ha dedicato un evento speciale, permettendo a tante voci diverse di esprimere il proprio punto di vista.
Il nuovo approccio all’azienda, raccontato da Carlo Rinaldi di Glickon
L’evento che vi abbiamo raccontato infatti è parte di un progetto più ampio, definito Building Together, che ha preso il via lo scorso marzo. Tutto è partito dal tema dell’ascolto. Un’idea controcorrente in un periodo in cui la maggior parte dei contenuti era orientata a insegnare qualcosa al pubblico. È nata così la piattaforma Come Va? per raccogliere le impressioni del pubblico, anche grazie a un sistema di gamification.
Più di 21.000 persone ci hanno risposto, esprimendo sentimenti ed emozioni. La Fase 2 dell’iniziativa di Glickon si è poi evoluta in pillole, suggerimenti sempre con un approccio però che partisse dal basso. A luglio il focus è stato sull’idea di Never Done Before, che descrive in maniera accurata il feeling della situazione attuale per molti. A settembre è stato il momento di riflettere sulla felicità al lavoro, in concomitanza con la giornata della gratitudine, per poi ragionare sull’evoluzione della nostra società riprendendo i concetti di The Social Dilemma e trasformando l’idea in The People Dilemma. Infine è arrivato l’evento dedicato alla resilienza verso il 2020+1.
Nella nostra chiacchierata con Carlo Rinaldi, abbiamo spaziato su argomenti svariati, riflettuto sul ruolo delle parole e cercato di guardare anche al futuro, con il mitico ‘new normal’ sempre più dietro l’angolo.
La trovate qui di seguito. Buona lettura!
Partiamo da una domanda dovuta. Durante l’evento si è parlato molto di resilienza, concetto presente fin dal titolo. In tanti hanno dato la propria versione del significato di questa parola, con varie metafore. Cosa significa per te e per Glickon questo termine?
Io sono un fan di Nassim Taleb e quindi dei temi dell’antifragilità. Penso che oggi più di domani e più di ieri sia importante non solo mettere le persone al centro, ma renderle protagoniste. Fare in modo che la persona venga presa in tutta la sua completezza. Noi come Glickon ci occupiamo di fare leva sull’esperienza delle persone all’interno di un’azienda (o come candidati nel mondo del lavoro). Qui il tema delle competenze è chiave e sempre più rilevante. Ecco, qui se pensi alla persona nel suo complesso, devi guardarla nella sua esperienza umana, nelle sue passioni.
Quello che è successo ci ha insegnato, anche dal punto di vista della resistenza, innanzitutto che il digitale toglie tantissimi tempi morti. Ansia, stress, ore di trasporti per arrivare al lavoro e così via. Quindi, bisogna dire grazie al digitale per tutto quello che ci ha dato. Questo è un grande reset: non si tornerà più come prima.
Non dobbiamo però perdere la parte umana. In Glickon diciamo “Simplify Human Experience”. Non dobbiamo perdere dall’analogico l’importanza della creatività, dello stare insieme, del rilanciare idee anche su tante piattaforme diverse. Sono tutti strumenti che devono riabilitare la nostra persona e di conseguenza la nostra creatività.
Io credo quindi che sia necessario ibridare questi temi. Da una parte l’idea del digitale come mezzo, dall’altra le relazioni umane. Io questo ibrido l’ho definito “Peoplabilty”, una crasi tra “abilità” e “persone”. Bisogna quindi ascoltare le persone, sviluppare il loro potenziale. Ed è questo il miglior modo per essere resilienti.
Restiamo nell’ambito dell’ascolto delle persone. Quando si parla del passaggio dall’ambiente di lavoro classico a uno più agile e digitale spesso ritorna l’idea di una maggiore difficoltà di comunicazione. Questo sia per le necessità quotidiane, come le richieste rapide di informazioni da una scrivania all’altra, sia a livello più generale, nel cercare di capire le necessità dei dipendenti. Il punto è: esiste davvero questa difficoltà? Come si fa ad affrontarlo?
Sì, esiste. Credo molto nella parola “Simplify” del nostro mantra che ho citato poco fa. Penso che oggi sia davvero chiave, perché il digitale per certi versi abilita, ma per altri può essere un ostacolo. Soprattutto per chi non è abituato o nei casi in cui siamo costretti a utilizzarlo, come in questo momento: siamo animali sociali, non saremo mai per tutta la vita davanti a uno schermo.
Noi ci siamo accorti, analizzando dati concreti, che nelle aziende anche il momento del caffè comporta un passaggio di informazioni. Una cosa che avveniva semplicemente passando dalle scrivanie e chiedendo: “Chi si prende un caffè con me?”. Questo in digitale non c’è: se vuoi prendere un caffè online (o onlife come si dice) devi metterlo a calendario, programmarlo in qualche modo.
Il tema del Simplify ci ha portato a scoprire molte cose. Ad esempio, tu hai usato un concetto che mi piace molto, cioè “agile”. Ecco, questo è importante: il concetto di essere agili e guardare al futuro del lavoro in maniera adattiva e scalabile per chi lo vive. Dall’altra creare modalità che non facciano perdere l’elemento umano. Questo lavora moltissimo sul rischio di burnout. Il fatto che le persone non staccano più, ci pone davanti a questo pericolo. In Glickon lo vediamo chiaramente dai dati a disposizione.
Oggi Simplify Human Experience significa innanzitutto osservare il dato, capire come stanno lavorando e collaborando le persone. Lo facciamo tramite l’ONA, cioè l’Organizational Network Analysis, che stabilisce non solo quali sono le relazioni formali tra le persone, come l’organigramma, ma anche quelle informali. Quanto tempo un team si interfaccia con un altro? Come si lavora insieme su documenti condivisi? Qual è la persona di cui ci si fida? Se c’è un problema a chi ci si rivolge?
Questi e altri concetti, moltiplicati per il numero di persone in un’organizzazione, stabiliscono le relazioni formali e informali. Da lì si avvia un journey per semplificare tutta questa esperienza di lavoro. Un modo per non creare entropia e al contempo far sì che le persone siano soddisfatte. Il nostro obiettivo è sempre quello di lasciare ogni posto migliore di come lo troviamo.
È importante questo, perché è importante essere ispirati nel lavoro. Se non è così, si fanno solo dei compiti, non si è in un contesto che liberi il potenziale. Le persone vanno ispirate e non solo una volta all’anno, ma in maniera continuativa e costante.
In chiusura, ti chiedo tre parole chiave che dovrebbero identificare l’esperienza aziendale in quello che potremmo definire alternativamente il 2020+1, il new normal, il “Quando tutto si sarà evoluto“. Non “finito“, perché è un’idea un po’ difficile da immaginare al momento.
Sono d’accordo con te, ma ti propongo quattro parole, invece di tre. Tutte anticipate da “ti”, che rappresenta il fatto che c’è la persona al centro, che si guarda all’altro. Sono “Ti Ascolto”, “Ti Abilito”, “Ti Potenzio” e “Ti incoraggio”. Quattro termini che sono bellissimi in italiano, che rispetto all’inglese, è più capace di mostrare la loro parte umana, il loro calore. Un aspetto da cui non si può prescindere. Dire a una persona “Ti incoraggio”, lavorare per incoraggiare, potenziare, rendere abili le persone… Tutti concetti importantissimi.
E vanno proprio in quest’ordine. Prima ti ascolto, poi ti abilito: dopo averti ascoltato ti do quello che serve a te nello specifico, non qualcosa che valga per tutti. Una volta che sei abilitato, io ti faccio diventare un supereroe, ti potenzio, perché so le cose su cui tu puoi fare la differenza. Infine non ti lascio da solo, ti incoraggio. Continuo a nutrirti di questo messaggio.
Queste sono le mie personali. Dal punto di vista di Glickon invece ne abbiamo davvero tre, che sono i nostri valori centrali. “Be a challenger”, cioè portiamo sfide nel mondo, “Make a Difference”, cambiamo le cose e infine “Better Place” cioè, come dicevo prima, rendiamo questo posto migliore di come l’abbiamo trovato.
Questo posto è casa nostra, è il pianeta, è l’ambiente di lavoro, è il luogo in cui una persona mi accoglie. Anche uno spazio digitale in fondo è un posto. Vale dappertutto.
Noi non possiamo fare altro che ringraziare Carlo Rinaldi e Glickon per la chiacchierata e girare i quesiti a voi. Come vedete questo mondo ‘trasformato’ che ci attende?