Se i grandi colossi del mercato ci hanno insegnato qualcosa, negli ultimi anni, è che un approccio sociale nello sviluppo della propria strategia di marketing può fare la differenza. Vi abbiamo già parlato, a tal proposito, dell’impact marketing, che mira a stimolare una maggiore proattività verso tematiche sensibili. Ma cosa avviene in Italia? Le aziende italiane come si pongono davanti alle questioni etiche? Prendono posizione o le ignorano?
Per capire bene questo fenomeno è imprescindibile dividere il comparto marketing (quello composto dai responsabili di settore) e la visione aziendale. Un recente studio di Trustpilot, infatti, ci rivela una netta discrepanza in tal senso. Il sondaggio riferisce che mentre gran parte dei marketer italiani (7 su 10) ritiene che prendere posizione aumenti i ricavi, il 53% delle aziende italiane è spaventata da tale approccio. Tra i timori più diffusi c’è quello del riscontro negativo da parte dei consumatori, data anche la natura divisiva di determinate tematiche.
Aziende e questioni etiche: il problema del Greenwashing
Tra i rischi delle aziende che decidono di esporsi su determinate tematiche c’è sicuramente il greenwashing. Il termine viene usato per indicare una presa di posizione del brand che viene percepita come strumentale, che non rispecchia la mission aziendale, per “cavalcare” l’onda di un determinato argomento. Una società che prende posizione su un tema caldo (es. l’ecologia), quando per anni si è mostrata indifferente al problema, rischia di risultare poco credibile agli occhi dei consumatori. Non solo: la mancanza di credibilità potrebbe comportare (e spesso lo fa) una sfiducia del cliente nei confronti del brand.
Nel nostro articolo di approfondimento sull’importanza della customer journey, abbiamo più volte sottolineato come la fiducia tra brand e consumatore sia un requisito fondamentale per una campagna di marketing di successo. Il rischio è quindi che, qualora la presa di posizione rispetto a questioni etiche non sia parte dei valori (value) del brand, questa possa portare a un irreparabile danno di immagine per il marchio, il che si tradurrebbe in un costante declino del profitto aziendale.
Il fattore target: non tutte le aziende possono permettersi di prendere una posizione
L’indagine di Trustpilot, riassunta nel report Brands that take a stand, ci rivela che la discussione è relativa anche al settore di riferimento. I brand di elettrodomestici o di elettronica, per esempio, riescono con più facilità a prendere posizione su questioni etiche (61%). Questo anche per la natura del loro business, fortemente collegato a temi caldi come l’impatto ambientale. Al contrario questo approccio risulta molto più complesso nell’ambito della finanza (57%).
La discriminante, in tal senso, potrebbe risiedere nel pubblico di riferimento. In fase di scelta, un elettrodomestico “green”, è decisamente più appetibile di uno che consuma di più ed inquina. Al contrario, la scelta di una banca, dipende da fattori più complessi e legati alle esigenze maggiormente specifiche del singolo cliente.
Marketer vs Brand: i risultati della ricerca di Trustpilot
Come preannunciato nell’introduzione, l’indagine di Trustpilot ci pone davanti due schieramenti: da un lato gli esperti di marketing, dall’altro i brand. I primi, per il 70%, ritengono che le aziende dovrebbero prendere posizione su questioni etiche, in quanto questo incrementerebbe le vendite. Non solo: il 31% dei marketer ritiene che non prendere posizione possa addirittura frenare le vendite. I brand, d’altro canto, sono per il 53% spaventati dalle potenziali reazioni negative da parte dei consumatori. Ma cosa ne pensano questi ultimi? Del resto sono loro l’ago della bilancia di questo dibattito.
Il 97% dei consumatori italiani ritiene che l’onestà e la trasparenza di un’azienda rappresentano un fattore decisivo nelle decisioni di acquisto. Già questo dato ci conferma l’importanza della fiducia tra brand e consumer. Inoltre più della metà degli intervistati italiani (54%) dichiara di prendere in considerazione la posizione di un’azienda sulle questioni etiche prima di effettuare un acquisto. Hanno ragione i marketer, quindi? Verrebbe da dire di si, sebbene lo studio riveli che tra le maggiori cause di sfiducia da parte dei consumatori ci sia proprio il greenwashing, insieme al trattamento ingiusto dei dipendenti e al servizio clienti scadente.
Quali sono i veri timori delle aziende?
Verrebbe quindi da chiedersi come mai i brand siano così reticenti in merito alla presa di posizione. In realtà la ricerca di rivela anche questo, grazie alle interviste condotte ai manager delle aziende prese in esame. A frenare l’esposizione su temi caldi è in primis la cultura aziendale interna (52%), seguita dalla mancanza di competenze in tal senso (il know-how, 41%).
I manager riferiscono anche che la mancanza di normative di riferimento generi una certa confusione (32%), mentre il 23% ritiene che il fattore discriminante sia la rilevanza del tema in questione per l’azienda. Un punto, quest’ultimo, che non andrebbe sottovalutato, dato che può fare la differenza tra un esempio virtuoso di marketing sociale, e uno deleterio di greenwashing.
- Sobrero, Rossella (Autore)