
Sembra uno scherzo da social, ma intanto è diventato un fenomeno globale. Nel febbraio 2024, Andrej Karpathy — cofondatore di OpenAI — ha coniato per caso un termine destinato a segnare un’intera stagione della programmazione. Con un post su X, ha parlato di “vibe coding”, un approccio che affida gran parte del lavoro a strumenti di intelligenza artificiale, eliminando qualsiasi ansia da compilatore o da debug.
Quella che sembrava solo una battuta si è trasformata in una nuova filosofia di sviluppo software, oggi discussa e adottata da migliaia di utenti in rete.
Vibe coding, ovvero quando l’AI scrive il codice al posto tuo
“C’è un nuovo tipo di programmazione che chiamo vibe coding,” ha scritto Karpathy. “Ti affidi completamente alle vibrazioni, abbracci gli esponenziali e dimentichi che il codice esiste.”
Dietro l’apparente leggerezza, il concetto descrive un’interazione radicalmente diversa con il codice. L’obiettivo non è più scrivere ogni riga manualmente, ma comunicare con un assistente AI che suggerisce, compone e corregge codice sulla base di semplici istruzioni in linguaggio naturale. Il programmatore si limita a osservare, chiedere, e — se tutto va bene — incollare il risultato.

La base tecnologica non è nuova. Da anni, strumenti come GitHub Copilot, ChatGPT, Claude o Gemini offrono supporto alla scrittura di codice. Tuttavia, è con Cursor Chat (già noto come Composer) che l’esperienza ha preso una piega più radicale.
“Negli ultimi tre o quattro anni, questi strumenti di autocompletamento sono migliorati sempre di più,” spiega Barron Webster, designer presso Sandbar. “All’inizio completavano singole righe, ora possono riscrivere interi file o creare nuovi componenti.”
L’approccio di Karpathy porta all’estremo questa tendenza. In un post successivo ha raccontato: “Accetto tutte le proposte che mi dà Cursor. Quando ricevo messaggi d’errore, li incollo semplicemente di nuovo: di solito li risolve così.” Se non funziona? Si chiedono modifiche a caso, finché qualcosa non succede.
Cos’è davvero il vibe coding?
“È come interagire con una base di codice tramite prompt,” spiega Sergey Tselovalnikov, ingegnere software di Canva. Il programmatore diventa un interlocutore, l’AI prende il timone. Nessun controllo riga per riga, nessuna verifica approfondita. Solo un’idea, e la fiducia che l’IA la possa realizzare.
Karpathy ha dato un nome a un processo già in atto. L’industria si stava già muovendo in questa direzione, ma la sua definizione ha colto il momento e lo ha trasformato in tendenza.
Tobin South, ricercatore in sicurezza AI al MIT Media Lab, vede due categorie principali: esperti come Karpathy, capaci di intervenire se qualcosa va storto, e neofiti senza esperienza, che trovano nell’IA un ponte tra l’idea e la realizzazione.
“Vibe coding è avere una visione che non sai eseguire, ma che l’IA può fare per te,” dice South.Il vantaggio è chiaro: velocità e accessibilità. Con questi strumenti si può realizzare in pochi minuti un prototipo di sito web, un mini-gioco o un’app semplice. Ma c’è un limite: la complessità e la sicurezza.
Lasciare tutto il lavoro all’AI comporta dei rischi
Nel vibe coding, il controllo umano si riduce al minimo. Questo può funzionare in progetti senza utenti reali o dati sensibili, ma diventa pericoloso quando il software scala. I modelli linguistici generativi (LLM) che alimentano gli assistenti AI producono codice come rispondono alle domande: a volte bene, a volte con errori gravi.
“In un gioco o un’app che non conserva dati, il problema è relativo,” spiega Tselovalnikov. “Ma in progetti più grandi, senza test e controlli, puoi avere vulnerabilità pericolose.”
Lo ha scoperto sulla propria pelle Leo, utente su X, che ha costruito un’app SaaS usando Cursor. La sua creazione è finita subito nel mirino di chi ha voluto sfruttare i buchi di sicurezza. Due giorni dopo, ha scritto: “Ragazzi, sono sotto attacco. Non sono tecnico, ci metto più del previsto a capire. Per ora smetterò di condividere quello che faccio.”
Nonostante i rischi, il fenomeno non accenna a fermarsi. Per molti è il primo passo verso la creazione digitale. Gli strumenti continuano a migliorare, e le piattaforme di hosting stanno integrando sempre più funzioni AI per facilitare lo sviluppo.
“Il costo di produrre software cala drasticamente,” conclude South. “Il mondo dovrà adattarsi. Non si torna indietro.”
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Il vibe coding rappresenta quindi una nuova forma di relazione tra persone e software. Non è programmazione tradizionale, ma un modo più intuitivo e accessibile per trasformare un’idea in codice. Affascinante per chi inizia, utile per chi conosce già il mestiere, rischioso per chi lo prende alla leggera. Ma il codice che “funziona, più o meno”, è ormai realtà.