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Tacoma e la Generazione Z: come attrarre (e trattenere) i giovani talenti in azienda

I discorsi di manager e professionisti spesso vivono di “buzzword” e seguono mode più o meno durature. Durante le pause caffè ai vari convegni, abbiamo sentito parlare e discutere dei concetti più disparati. Dalla necessità del cloud alla scommessa del metaverso, passando per i pericoli dell’intelligenza artificiale e lo spettro dell’inflazione. Ma un tema sembra emergere in ogni stanza dove due o più manager si incontrano: la difficoltà nel trovare attrarre e trattenere talenti in azienda – soprattutto quando si parla della Generazione Z.

I dirigenti e i professionisti sembrano faticare anche solo a farsi un’idea di questi ragazzi e queste ragazze nati dopo il 1995 e prima del 2012, che sembrano avere una concezione del lavoro e un sistema di valori diametralmente opposto al loro. Rendendo difficile attrarre i talenti neolaureati e neodiplomati in azienda – e praticamente impossibile farli restare.

Per questo motivo abbiamo colto subito l’occasione di partecipare alla Masterclass inter-aziendale AttrattivaMente organizzata dalla Community di Tacoma presso il Kilometro Rosso. Che si pone l’ambizioso obiettivo di aiutare i manager e professionisti presenti a conoscere, attrarre e trattenere i giovani talenti della Generazione Z.

Come attrarre i talenti della Generazione Z, gli spunti di Tacoma

Stefano Davanzo, CEO e Founder di Tacoma, ci spiega che l’azienda da tempo organizza momenti simili per la propria Community, fornendo supporto alle aziende che vogliono crescere. Non solo in termini di business, ma “a 360 gradi e mettendo al centro l’individuo”. Tacoma, che oltre a fornire spazio per il confronto fra imprenditori offre anche servizi di consulting, ha avuto modo di aiutare diverse aziende nel proprio percorso – anche nel trovare risorse giovani e talentuose da aggregare ai propri team.

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Tuttavia, spiega che quello che abbiamo vissuto al Kilometro Rosso e un “momento di riflessione e condivisione, non diamo ricette pronte in quattro d’ore: questa è una questione molto complessa e dalle mille sfumature. Non si possono dare linee guida uguali per tutti. L’obiettivo è quello di domandarsi quale paradigma culturale le aziende adottano quando si mettono a confronto con la Generazione Z. Per poi capire come rendere l’ambiente aziendale adatto ad accogliere i giovani talenti per creare valore”.  

Per farlo, Davanzo spiega che bisogna lavorare su tre verbi chiave: conoscere, attrarre e trattenere.

Conoscere: che idee abbiamo della Generazione Z

Insieme alla coach e formatrice Gaia Faccioli, Davanzo inizia chiedendo a noi e ai professionisti in sala (siamo più di una trentina) di mettere nero su bianco le idee che ognuno ha su questa generazione, fatta di ragazze e ragazzi nati fra il 1995 e il 2012. Che è molto diversa dalle altre per diverse ragioni. Per esempio, si stima che il 20% di loro sia al momento all’estero.

Una generazione della “Permacrisi”: nati in un periodo di crisi permanenti – dal Millennium Bug alle Torri Gemelle, la crisi economica del 2008, la bolla di Internet, il Covid. Loro invece si definiscono la Generazione dell’Ansia: quella ambientale, quella sul futuro (lavorativo e non).

Dal gruppo variegato di professionisti presenti nella sala del Kilometro Rosso sentiamo emergere concetti molto diversi fra loro – soprattutto perché ci sono anche alcune persone che fanno anagraficamente parte della Gen Z, accanto a Millennials, Generazione X e anche qualche Baby Boomer.

Ma alcune idee sembrano ritornare più volte nelle loro esposizioni: il fatto che, rispetto alle generazioni precedenti, abbiano avuto più possibilità di scelta. Dal punto di vista scolastico ma anche delle esperienze: per esempio la possibilità di fare anni all’estero. Inoltre, più di una persona parla di una sorta di “egoismo”, anche se non necessariamente in accezione negativa: li percepiscono come più consapevoli di quello vogliono e più disposti a imporsi per ottenerlo.

I valori della Generazione Z – l’analisi di Tacoma

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Dopo aver raccolto gli spunti degli imprenditori, la Community Project Manager Rossana Pellicioli riporta lo studio di Tacoma sulla Generazione Z e su come si differenzia dai “meno giovani. Mettendo al centro alcuni valori fondamentali che evidenziano la differenza generazionale. Precisando che le distinzioni sfumano un po’ per i Millennials, che fanno anche da “ponti” verso i più giovani. E che, come tutte le generalizzazioni, questa visione della Gen Z non può calzare a pennello tutti.

Il primo punto è quello del lavoro: dopotutto si sta parlando di come attrarre i talenti della Generazione Z in azienda. Per i più giovani, uno dei temi centrali riguardo questo valore è quello della libertà di scelta: poter fare un lavoro gratificante e allineato con i propri valori per loro spesso è essenziale.

Invece, se il tema della crescita professionale resta importante, non riguarda più solo il raggiungimento di uno status o di un ruolo, quanto piuttosto un modo per esprimere sé stessi tramite quello che si fa. Non vogliono fare azioni perché imposte dall’alto, ma perché allineate ai propri valori.

Il tempo libero e la stabilità economica

Le generazioni precedenti associavano subito al concetto di lavoro quello di sacrificio. L’abnegazione era centrale: c’è quasi qualcosa di positivo nel non aver tempo di dedicarsi a hobby e passioni. Questo perché ha un valore maggiore il ruolo rivestito per le generazioni precedenti, perché al ruolo si associa quello di status: spesso non conta quanto si apprezza la propria vita lavorativa, ma quello che c’è scritto sul biglietto da visita.

La Gen Z invece nel tempo libero vuole coltivare le proprie relazioni e prendersi cura del proprio benessere e del proprio equilibrio. A differenza dei “meno giovani”, il tempo libero non è sempre sacrificabile, un lusso non necessario, quasi uno spreco. La Generazione Z pensa che la giusta work-life balance permetta di lavorare meglio.

Per loro la facilità nell’ottenere stabilità economica ha portato a viaggiare più facilmente, sperimentando tante opportunità (come lo studio all’estero, per esempio). La stabilità economica, quindi, non riguarda la sfera sociale, quando a quella individuale (hobby, viaggi, ecc). Invece, per i meno giovani la stabilità economica non era scontata, raggiungerla dava una sicurezza importante.

Dopo che Pellicioli solleva questo punto, alcuni membri della Gen Z all’interno del gruppo fanno presente che questa generalizzazione non coglie tutte le realtà dei ragazzi di oggi. Ma il team di Tacoma spiega, nel tracciare tratti generali, non si può dimenticare che il nostro è il secondo Paese più patrimonializzato al mondo. Quello che emerge dalla conversazione è che in passato si preparava i ragazzi a un mondo difficile, pur arrivando a trovare una certa stabilità per via del boom economico. Oggi è il contrario: ci sono moltissime possibilità dovute dalla stabilità economica di molti genitori, ma molte “porte sbattute in faccia”.

Il concetto di proprietà e di famiglia

Pellicioli continua spiegando che quanto sia cambiato per la Gen Z anche un valore fondante delle precedenti generazioni: quello della casa. Chi è più giovane oggi vede la casa oltre al concetto di proprietà, mentre le altre generazioni la vedevano come obiettivo fondamentale per lo status: una parte della crescita. Per i più giovani, invece è un asset familiare e un possibile generatore di rendita.

Forse, anche in questo caso gioca un ruolo importante la strana situazione economica del nostro Paese, dove ogni persona nata in Italia nasce con 45 mila euro di debito pubblico ma 18 vani disponibili, in media.

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Grandi differenze anche per quanto riguarda il valore della famiglia: c’è più apertura e fluidità, mentre per le altre la concezione era molto più rigida. E in passato era molto di più anche un obiettivo da raggiungere – così come lo erano le relazioni sentimentali stabili. Che per la Generazione Z non hanno un valore in sé, ma solo quando fanno star bene le persone coinvolte.

Generazioni a confronto

Dopo un esercizio a coppie che ci ha fatto mettere nei panni dei giovanissimi da un lato e dei meno giovani dall’altro, la Community di Tacoma emerge con alcuni spunti che ci sembra interessanti. Come il fatto che spesso le più giovani generazioni ragionano per “difetto” rispetto alla generazione precedente: forse la Gen Z ha abbandonato queste certezze perché ha visto come mancassero ai Millennials, che pure le cercavano in un mondo molto più fluido. Oppure il fatto che, poiché i genitori della Gen Z sono stati spinti fuori casa, oggi danno più libertà di scelta ai figli.

Ma soprattutto si soffermano sul cambio di paradigma culturale riguardo il mondo del lavoro. Parafrasando Kennedy: non si chiedono solo quello che l’azienda può fare per loro, ma quello che loro possono fare per l’azienda. Voglionopoter contribuire più di quanto vogliono raggiungere uno status aziendale importante.

Inoltre, emerge come ci sia un grande divario fra skill hard e soft. I ragazzi che entrano nel mondo del lavoro hanno competenze enormi, hanno percorsi di studi ad hoc. Ma dall’altro lato, alcuni hanno poca esperienza del mondo del lavoro. C’è bisogno di fondere le competenze generazionali per mettere a frutto entrambe le realtà.

Generazione Z: attrarre e trattenere i talenti

Una volta identificati i preconcetti da mettere da parte e le differenze valoriale da accogliere, le aziende possono iniziare a capire come attrarre i talenti della Generazione Z in azienda. Ma attrarre non basta: bisogna trovare un modo per trattenere i talenti in azienda abbastanza a lungo perché portino valore. In altre parole, sviluppare una politica di People Management per questa generazione.

La coach Gaia Faccioli ci spiega che trattenere è fondamentale, forse anche più importante che avere un costante recruiting di giovani talenti. Se non sappiamo trattenere abbiamo costi maggiori, come quello che abbiamo speso per on-boarding e formazione, che rischiamo di perdere. Ma non bisogna anche sottovalutare l’impatto che si sente anche sulla cultura aziendale e sull’umore dell’impresa: si rischia di creare una “sindrome dei sopravvissuti” in azienda. E poi c’è la questione reputazionale: se il turn-over è elevato e i feedback sono negativi, si rischia di diventare meno attrattivi. Perché non ci sono dubbi sul fatto che i Gen Z su LinkedIn e non solo cercheranno informazioni sull’azienda.

L’importanza di “sentirsi bene” in azienda

Durante la discussione fra i manager presenti all’evento, tutti hanno parlato dell’importanza del “sentirsi bene” – sia i membri della Gen Z che i “meno giovani”. Fin dai primi colloqui conoscitivi, emerge l’importanza che danno alla formazione. Sembra che spesso non si chieda quali scatti di carriera o di salario ci saranno fra un, tre o cinque anni – piuttosto vogliono sapere cosa impareranno nel tempo passato in azienda. Perché essendo mediamente più istruiti, hanno meno esperienza sul luogo di lavoro e vogliono essere professionalizzati.

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Un’altra costante che emerge nel confronto fra manager riguarda l’importanza della Gen Z di sentirsi riconosciuta. Accettano malvolentieri il dover fare le cose “perché si è sempre fatto così” – ma dall’altro lato hanno una forte necessità di professionalizzazione. In altre parole, sembra che il punto non sia che non rispettano l’autorità, quanto il fatto che cercano autorevolezza per imparare e crescere.

In questo ambito, diventa importante anche parlare del fatto che spesso manca formazione del middle management, che deve mettere in dialogo due mondi: la Gen Z e la proprietà. Due sfere diverse, con concetti diversi di gerarchia. I Project Manager o i capo reparto spesso si lamentano del fatto che la Gen Z non faccia quanto richiesto – ma forse c’è bisogno di utilizzare un modello di gestione delle risorse diverse. Faccioni provoca dicendo: “Se lo scontro è fra PM e Gen Z, chi pensiamo vincerà nel lungo termine?”. Ma il punto è proprio che, lavorando sulle relazioni, non ci sarà uno scontro ma un incontro virtuoso.

Durante l’incontro emerge anche, tuttavia, che ci sono grandi differenze fra aziende di diverse dimensioni e con diversi impianti. E che non c’è una ricetta universale – perché bisogna sempre tenere conto della cultura aziendale. Gli imprenditori e i manager devono adattare i concetti di people management alle proprie realtà produttive.

Come trattenere i giovani talenti

Quando la discussione supera lo step dell’attrarre per arrivare a quello fondamentale del trattenere, Tacoma ci porta subito a riflettere su quello che sembra un dato di fatto (per quanto, al solito, sia impossibile generalizzare). Sono una generazione nomade, che cambia più facilmente di altri. Quindi, quando pensano che un’esperienza si sia conclusa o non si trovano bene sul posto di lavoro, cambiano. Il loro “andare” è un bisogno vitale, che bisogna provare ad assecondare il più possibile.

Bisogna però entrare nel concetto che per la Gen Z il tempo è determinato: non a livello contrattuale (la stabilità del contratto la vogliono come tutti) ma sono sempre disposti a cambiare. Quindi bisogna entrare nell’ottica che difficilmente un giovane talento resterà in azienda fino alla pensione: conviene ripensare il recruiting e le risorse umane in quest’ottica. E fare in modo che restino abbastanza da portare valore all’azienda.

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Per farlo, serve creare un rapporto di fiducia. Rispetto ad altre generazioni, vincolare lo scatto di carriera o la formazione a una permanenza forzata potrebbe risultare deleterio. Ma soprattutto, tutti i manager presenti sono d’accordo nel dire che vogliono fare quello che interessa: sono disposti anche ad accettare anche contratti e posizioni peggior pur di trovare stimoli. Potete anche pagarli di più, ma se trovano un posto più allineato alle proprie passioni, cambieranno.

Avere un piano (e continuare a formarsi)

Tacoma quindi ci spiega che per attrarre e trattenere la Generazione Z in azienda, bisogna fare un action plan chiaro: chiedersi cosa oggi attrae nella propria azienda (valori, contenuti, stipendi, politica risorse umane) e che cosa manca per trattenere i più giovani.

E poi bisogna saper accogliere questi bisogni (crescere, imparare, motivare) sapendo di poterli tenere per il tempo in cui hanno bisogno e voglia di stare. Bisogna riprogettare il proprio approccio pensando che non resteranno per tutta la carriera: è un dato di fatto, inutile pensare siano infedeli o fannulloni.

Diventa poi importante, secondo chi scrive, prendersi momenti come quello vissuto in questa Masterclass per uscire dalle dinamiche aziendali e confrontarsi con altre realtà. Da “esterni”, avevamo quasi paura gli imprenditori avrebbero continuato a parlare per un’altra giornata, tanti erano gli spunti e i racconti personali.

Tacoma offre, inoltre, la possibilità di partecipare al progetto CambiaMente, che mette in comunicazione l’impresa italiana con la Generazione Z – direttamente. Con progetti di formazione, workshop pratici e progettazioni, fa incontrare studenti e aziende. Se vi sembra interessante, qui trovate tutte le informazioni.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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