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Il lato nascosto dell’Intelligenza Artificiale in Africa

Dietro ogni algoritmo di intelligenza artificiale – altresì detta AI – si nasconde un enorme esercito di lavoratori invisibili, spesso africani. Un nuovo studio ha infatti rivelato che 39 paesi africani forniscono manodopera digitale a basso costo per aziende come Meta e OpenAI. Tutto questo avviene attraverso reti di subappalto che rendono difficile tracciare con assoluta precisione le varie responsabilità e i diritti.

I lavoratori africani invisibili dietro l’AI delle Big Tech

Il problema del lavoro sommerso

L’African Content Moderators Union e l’ONG svizzera Personaldata.io hanno tracciato per la prima volta i flussi di questo lavoro invisibile. I dati mostrano come il lavoro digitale – che parte dalla moderazione dei contenuti fino all’annotazione di dati per l’Intelligenza Artificiale – passi dal cuore dell’Africa fino a intermediari con sede in Emirati Arabi Uniti, Europa e Nord America, per poi infine raggiungere i colossi tecnologici.

Quattro aziende operano direttamente nel continente africano, ma la maggior parte delle società di outsourcing preferisce paesi con normative molto meno restrittive, in modo da poter sfruttare meglio alcuni vuoti normativi. “Scegliono nazioni come il Kenya, dove i governi sono più fragili e le leggi meno stringenti“, ha spiegato Jessica Pidoux di Personaldata.io.

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Il caso Sama-Meta in Kenya

Lo schema emerge chiaramente nel caso giudiziario contro Sama, che è un fornitore con sede a San Francisco, e il suo cliente Meta, una delle più importanti imprese tecnologiche mondiali, fondata da Mark Zuckerberg. Alcuni ex moderatori di contenuti kenioti hanno infatti accusato le aziende di sfruttamento lavorativo, oltre che a denunciare delle condizioni proibitive e traumi psicologici subiti dai lavoratori.

Meta sostiene di richiedere ai partner condizioni all’avanguardia, ma i documenti legali rivelano invece una realtà diversa. Kauna Malgwi, la quale è una ex moderatrice nigeriana, ha ottenuto con fatica i suoi dati personali da Sama grazie alle leggi europee sulla privacy. L’azienda ha però fornito informazioni parziali e incomplete, e ha omesso di dire di aver condiviso i dati degli utenti con Meta.

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La strategia dell’intermediario

Le Big Tech usano catene di subappalto per diluire le responsabilità. “Quando emergono pratiche scorrette – dai salari bassi ai danni psicologici – la colpa ricade sugli intermediari, non sulle multinazionali che beneficiano del lavoro“, ha spiegato Adio Dinika del Distributed AI Research Institute.

Questo fenomeno estremamente disdicevole purtroppo non riguarda solo l’Africa. Richard Mathenge, ex dipendente di Teleperformance in Kenya, ha infatti ricevuto risposte evasive quando ha chiesto i suoi dati personali. L’azienda francese ha inviato documenti illeggibili o inaccessibili, nonostante gli obblighi di legge vigenti.

Il circolo vizioso dei lavoratori africani invisibili per l’AI

I contratti di riservatezza e le catene di fornitura complesse creano un vuoto di trasparenza che spesso, per via delle condizioni dei paesi di questi lavoratori, è difficile da riempire. “A volte intervisto manager di grandi aziende che non sanno neanche quanti lavoratori hanno“, ha detto Antonio Casilli, sociologo esperto di Intelligenza Artificiale.

Questa opacità permette dunque alle Big Tech di negare ogni coinvolgimento quando scoppiano scandali per quanto riguarda il lavoro e simili. Intanto, i lavoratori africani restano senza tutele, ed essi sono pagati pochi dollari per compiti cruciali come addestrare modelli di Intelligenza Artificiale o rimuovere contenuti violenti dai social media.

La strada per una maggiore trasparenza

Alcuni lavoratori stanno però reagendo. L’ACMU ha infatti avviato una campagna per ottenere riconoscimento e diritti. Le richieste di accesso ai dati personali, come quella di Kauna Malgwi, potrebbero diventare un’arma per scalfire il muro del silenzio.

Ma la strada è in salita. Senza pressioni internazionali e riforme legislative, il sistema continuerà a funzionare come ora: con migliaia di lavoratori invisibili che alimentano l’AI del futuro, senza condivisione di benefici né riconoscimento.

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