L‘intelligenza artificiale (AI) è una tecnologia che sta rivoluzionando il mondo in molti ambiti, dalla comunicazione alla creatività, dalla medicina all’istruzione. Ma cosa c’è dietro le applicazioni più avanzate e popolari di questa tecnologia, come ChatGPT, Dall-E, Bard e gli algoritmi di raccomandazione? E come si può evitare che l’IA produca risultati sessisti, razzisti o ingiusti? Queste sono domande importanti che richiedono una comprensione dei principi e dei meccanismi di base dell’AI.
Ce ne ha parlato in maniera approfondita Roberto Carrozzo, Head of Intelligence & Data di Minsait.
Come funziona l’intelligenza artificiale e perché può essere discriminatoria
L’elemento fondamentale dell’AI sono i dati. Senza dati, l’AI non può fare nulla. I dati sono le informazioni che gli algoritmi di AI usano per imparare a svolgere compiti specifici, come riconoscere immagini o generare testi. Più dati ci sono, più l’AI può migliorare le sue prestazioni e la sua accuratezza.
I dati possono essere di vario tipo: strutturati, come quelli che si trovano in un file Excel, dove ogni campo ha un significato preciso; o non strutturati, come immagini, testi, video o audio, che non hanno una forma definita o univoca.
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I dati non strutturati sono particolarmente utili per gli algoritmi di Natural Language Processing (NLP), ovvero quelli che sono in grado di capire e produrre un testo in linguaggio naturale. Un esempio di questi algoritmi sono i Large Language Model (LLM), come ChatGPT di OpenAI e Bard di Google. Questi algoritmi sono in grado di generare testi coerenti e convincenti su qualsiasi argomento, a partire da una parola o una frase. Per fare questo, hanno bisogno di una grande quantità di dati testuali da cui apprendere le regole e le sfumature del linguaggio.
I dati possono provocare criticità
Una fonte comune di dati testuali sono le pagine web, che contengono una varietà di contenuti su diversi temi e stili. Tuttavia, questa fonte non è sempre gratuita e accessibile. Infatti, alcune piattaforme web, come Reddit, X e Stack Overflow, stanno aumentando i costi per consentire agli algoritmi di intelligenza artificiale di usare i loro contenuti come dati di addestramento. Allo stesso modo, alcuni siti d’informazione, come il New York Times, stanno minacciando di citare in giudizio OpenAI per aver usato i loro articoli per addestrare ChatGPT. Questo perché i dati sono una risorsa preziosa e chi li possiede vuole essere ricompensato per il loro uso.
Ma c’è un altro problema che riguarda i dati: quello dei bias discriminatori. I bias sono delle distorsioni che influenzano il modo in cui l’intelligenza artificiale interpreta e produce le informazioni. Queste distorsioni possono portare l’AI a fornire risultati sessisti, razzisti o ingiusti nei confronti di alcune categorie di persone.
La colpa, quindi, non è dell’algoritmo in sé, ma dei dati su cui è stato addestrato. I dati possono essere fonte di bias per due motivi: il primo è che riflettono la realtà sociale, che purtroppo è spesso discriminatoria; il secondo è che possono essere selezionati in modo sbilanciato, incompleto o non inclusivo da parte del team che sviluppa l’IA. In entrambi i casi, i bias dei dati si trasmettono all’IA, che li riproduce nei suoi output.
Come evitare che l’Intelligenza Artificiale generi contenuti discriminatori?
Per evitare questo problema, è necessario prestare attenzione alla qualità e alla provenienza dei dati che si usano per addestrare l’AI. Bisogna assicurarsi che i dati siano rappresentativi della diversità della società e che non contengano informazioni false o offensive. Inoltre, bisogna monitorare costantemente il comportamento dell’AI e correggere eventuali errori o anomalie. Solo così si può garantire che l’intelligenza artificiale sia una tecnologia etica e responsabile, che rispetti i diritti e le esigenze di tutti.
“Stiamo vivendo una fase storica che sarà ricordata come il crocevia fondamentale per quello che sarà il futuro dell’intelligenza artificiale e solo attraverso la consapevolezza, il dibattito e l’impegno di tutti gli attori coinvolti potremo sviluppare sistemi di intelligenza artificiale equi e non discriminatori”, conclude Roberto Carrozzo.
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