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Il futuro dell’intelligenza artificiale e il suo impatto sulle aziende

L'evento di Fastweb e Ammagamma per la Milano Digital Week fa il punto della situazione

Qual è il futuro dell’intelligenza artificiale e quale sarà il suo impatto sulle aziende? Fastweb e Ammagamma hanno organizzato un evento che vuole parlare di AI e impresa in maniera accessibile, per spiegarne le possibilità e i limiti alle grandi imprese come alle PMI. Nell’ambito della Milano Digital Week, l’evento ha avuto luogo presso lo STEP FuturAbility District.

Intelligenza artificiale e aziende, un potenziale enorme

STEP FuturAbility District, in piazza Adriano Olivetti 1 a Milano, è lo spazio di Fastweb dedicato a fare maggiore consapevolezza riguardo la trasformazione digitale. Sia ai cittadini milanesi che alle imprese, con workshop, visite e non solo. Ma nell’ambito della Milano Digital Week, questo 14 novembre lo spazio ha fatto da perfetta cornice a un evento che vuole parlare di un tema sempre più presente nella nostra vita quotidiana, ma ancora oggetto di timori e dubbi: l’AI.

La giornalista del Corriere della Sera Martina Pennisi inizia introducendo l’evento agli ospiti di Milano e alle tante persone connesse in streaming. E poi lascia spazio al “padrone di casa”, l’amministratore delegato di Fastweb Alberto Calcagno, che accoglie tutti in questo spazio informale indossando una maglietta dei Rolling Stones. E da subito setta il tono della discussione, che vuole risultare accessibile anche ai non adetti ai lavori.

Per le tecnologie come l’intelligenza artificiale devono sempre più diventare un vocabolario conosciuto dai consumatori e dalle aziende, anche le più piccole. “Il digitale è un linguaggio per noi: è come l’inglese negli anni ’80. Ci dicevano che serve impararlo per conoscere il mondo, per lavorare. Lo stesso vale per il digitale: dovremmo insegnarlo già all’asilo, come per l’inglese“.

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Un futuro che è già qui

La digitalizzazione e l’AI non sono più realtà riservate agli scrittori di fantascienza. Né appannaggio esclusivo delle più grandi coorporazioni, che tuttavia continuano ad avere un vantaggio competitivo in termini di ricerca e sviluppo. Ma per Calcagno, non si può parlare di AI usando le coniugazioni al futuro. “Per guardare al futuro non serve guardare in una sfera nel cristallo: basta guardarsi allo specchio. A questo serve lo spazio Step. Il modo migliore per crescere è avere fiducia in se stessi ma al tempo stesso essere onesti”.

Anche se Calcagno riconosce che l’aver accesso a una vasta quantità di dati fa la differenza. Fastweb, che ha 4,4 milioni di clienti residenziali che portano 2,5 miliardi di euro in fatturato nel 2022, ha accesso più dati rispetto alle PMI. L’azienda ha fatto 37 trimestri di crescita consecutiva: un’azienda molto sana. Anche perché investe il doppio rispetto agli altri: il 25% dei ricavi vanno in nuovi investimenti.

Questo porta l’azienda ad avere una quantità di dati da analizzare enorme, specie in ambito enterprise dove gestisce il 46% del mercato. “Abbiamo 91 miliardi di check sui modem della rete, gestendo quindi 3,5 Peta Byte di dati interni gesti, 8,5PB di dati clienti gestiti, 6 milioni di accessi al sito e all’app, 17 milioni di interazioni visual IVR e 42 milioni di eventi di sicurezza ogni anno“.

Una mole di dati simile permette a Fastweb di anticipare le richieste dei clienti, ottenendo risultati importanti. Diminuisce del -10% il churning dei clienti, che rimangono in Fastweb. E offrendo soluzioni ad hoc alimentate dai dati, l’azienda ottiene un +10% di upselling in sei mesi.

Ma l’AI per Fastweb vuole essere un altro modo per aiutare le persone e gestirle al meglio: l’AI per noi è un altro line manager, che come tutti ha le sue opinioni e che può sbagliare” spiega Calcagno.

Ammagamma: l’intelligenza artificiale per aiutare le piccole e medie aziende

Dopo Calcagno inizia a parlare David Bevilacqua, CEO di Ammagamma, che inizia provocando i presenti con una domanda. “A cosa pensate quando parliamo di Intelligenza Artificiale? Qualcuno citerà Alexa, qualcun altro l’analisi, i più nerd il machine learning. I nostri ingegneri diranno che è solo algebra. Ma la maggior parte delle persone parlerà invece di robot, di androidi. Anche con la paura collegata ai possibili rischi: la sostituzione dei lavoratori, i rischi fantascientifici. La singolarità. Tutti concetti che spesso fanno timore”.

Bevilacqua spiega che aziende come Eni, Fastweb, magari conoscono l’intelligenza artificiale da sei o sette anni. Ma delle aziende italiane, le entreprise sono solo una ventina, mentre la quasi totalità sono piccole e medie aziende. L’imprenditore davanti a questi concetti rischia di trovarsi alla cantina di Star Wars, dove tutto sempre complicato e alieno”.

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Bisogna invece iniziare a parlare in maniera semplice di questo concetto, che entro il 2028 potrebbe generare fino a 105 miliardi di euro ogni anno. In Italia la cifra si aggirerà attorno al 1,35 miliardi, ma resta un mercato importante da prendere. Le piccole e medie imprese possono sfruttare queste novità per ripartire.

“L’importante è distinguere fra Big Data, che richiedono grandi quantità di dati, e il ‘Right Data’, che possono applicare anche le aziende più piccole. Di piani ‘Big Data’ in questo senso ne avremo fatti una decina di use case, ma la differenza l’abbiamo fatta con tutti gli altri. Che ci concentrano in tre aree: Ottimizzazione (+50% in produzione industriale), Efficienza (-20% di consumo di energia) e Previsione (+60% di accuratezza)”.

I casi d’uso

Il CEO di Ammagamma porta poi diversi casi d’uso di piccole e medie aziende che stanno utilizzando i dati per fare la differenza. Come l’azienda di arredamento Colombini Group, che ha ottenuto risultati importanti sulla propria linea: +14% di consegne on-time e -20% di straordinari per completarle.

E poi il caso di Pastificio De Matteis, che ha 270 dipendenti. In piena pandemia, ha cercato un’app che migliorasse le previsioni della domanda per ridurre gli sprechi. Il risultato è +30% di previsione precise. Sabart invece si occupa di strumenti elettronici per il giardinaggio e ha potuto ridurre del +75% gli errori di previsione. Infine, Ferrari Rolo Plast, che ha solo 17 dipendenti e 3 milioni di fatturato, ha ottenuto +32% di ordini consegnanti in tempo e -18% di scarti di materie prime.

“Questi risoltati arrivano da aziende che sono a metà strada fra gli innovatori e gli early adopter nella curva di Rogers. La gran parte del mercato ci arriverà poi”. Bevilacqua inoltre spiega che la collaborazione con queste aziende è stata altissima: Noi portiamo il dominio della matematica, ma il processo lo mettono loro. Per questo serve trovare un linguaggio comune per lavorare assieme”.

Raccontare l’intelligenza artificiale in maniera semplice e smitizzare il racconto distopico, può fare la differenza per tutte quelle 4,4 milioni di PMI che possono sfruttare la potenza dell’AI. “Portare la matematica, perché di questo si tratta, a servizio del futuro delle piccole e medie imprese. Perché se crescono loro cresce il Paese”.

L’intelligenza artificiale di Ammagamma e il credito di imposta fanno crescere le PMI italiane

AI: fra etica, bias e sfiducia dei professionisti

Nella prima tavola rotonda della serata, Dario Pagani, Responsabile Digital & Information Technology di Eni spiega che l’AI non rimuove alcuni questioni etiche importanti. Su cui deve ragione l’intelligenza umana, perché quella artificiale non può farlo. “Forse l’enfasi messa sul termine ‘intelligenza’ risulta eccessiva e fuorviante parlando di AI, perché invita a paragonarla a quella umana. Quando non serve: spesso gli algoritmi fanno lavori semplici a servizio delle imprese. Ma se parliamo di intelligenza artificiale davvero, dobbiamo discutere di etica, di assicurarsi che questa tecnologia sia giusta e di dimenticarsi dell’intelligenza umana che c’è dietro”.

Giuseppe Casagrande, Global Digital Leader di ABB Smart Power Division, sottolinea come ci sia ancora un fattore di equità fra aziende quando si parla di intelligenza artificiale. “Chi lavora in una corporazione grande come la nostra, sa che di dati ce ne sono fin troppi e che bisogna saperli gestire. Ma per le PMI magari c’è ancora la necessità di lavorare alla raccolta. Il dato serve a capire da dove si parte, dove diventa possibile intervenire per fare la differenza“.

I bias della macchina e quelli dell’umano

Massimiliano Pellegrini, CEO di Namirial, racconta invece la propria impresa per poter introdurre un tema importante: quello dei bias. “Durante la pandemia diverse assicurazioni, banche e non solo avevano la necessità di continuare a lavorare anche a distanza. La nostra piattaforma ha messo a disposizione un servizio di deep learning per riconoscere i documenti degli utenti online. In un video che confronta la migliore immagine dell’utente con l’immagine del documento, assicurandoci anche che l’utente sia vivo (e non un’altra foto). Questo ha permesso ai nostri clienti, che sono le aziende, di creare rapporti con gli utenti assicurandosi della loro legittimità”.

Ma per Pellegrini questo impone che la piattaforma debba anche essere accessibile a tutti. “Per colpa di sbilanciamenti nei dataset, spesso questo tipo di piattaforme riconosce più facilmente uomini caucasici rispetto alle donne e qualsiasi altra etnia. Quindi uno sforzo importante quanto ‘addestriamo’ la nostra piattaforma cerchiamo di vincere questo bias curando attentamente la selezione dei dati”.

Federico Cabitza, professore associato di Università di Milano-Bicocca, sottolinea come i bias umani spesso finiscano nelle macchine. Ma un altro passaggio culturale da compiere è quello di eliminare i bias dei professioni nelle aziende rispetto all’intelligenza artificiale. “L’intelligenza artificiale nell’ambito medico rischia di arrivare come antagonista, rompendo dei processi rodati. Ma bisogna riconoscere che nel mondo della medicina ci sono problemi di efficacia, di equità, di trasparenza. Utilizzando l’intelligenza artificiale possiamo migliorare i processi medici, valutando i risultati di interventi, farmaci, e non solo. Abbiamo quindi lanciato il concetto di ‘tecnovigilanza’. Un esempio potrebbe essere un algoritmo di screening per escludere risultati chiaramente negativi dalle analisi. Ma bisogna spiegare bene ai medici che l’AI è uno strumento, non in competizione con loro. E serve anche discutere del rischio ‘deskilling’ di chi si affida troppo all’AI, per esempio”.

L’AI per mettere l’uomo (e anche i beni culturali) al centro

Tiziana D’Angelo, Direttrice del Parco Archeologico Paestum e Velia, apre la seconda roundtable dell’evento discutendo di come l’AI possa servire anche per tutelare le tracce più importanti che l’umanità ha lasciato sul mondo. “Parlando del nostro Parco Archeologico, ma in generale di patrimonio culturale, bisogna pensare che la mole di dati a disposizione è enorme e importante. Sia per quanto riguarda il lavoro di ricerca e catalogazione del materiale archeologico e culturale.

Ma ci sono anche i dati che servono a capire come presentare al meglio il percorso espositivo: i visitatori arrivano da tanti diversi background, Paesi e non solo. Inoltre, c’è l’elemento della tutela: noi gestiamo 70 chilometri quadrati a Paestum e 50 a Velia, con milioni di reperti da gestire e scavi da organizzare (prevedendo dove utilizzando i dati e l’AI). Fino a poco fa (a volte ancora oggi), il catalogo digitale e online non c’era, rendendo più difficile valorizzare il patrimonio”.

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Emanuela Girardi, Fondatrice e Presidente di Pop AI, fornisce una nuova definizione per discutere di AI che permette di mettere le persone al centro. “Forse invece di intelligenza artificiale dovremmo parlare di ‘intelligenza potenziata’. Perché l’obiettivo è migliorare la vita delle persone, in una chiave di lettura antropocentrica. Queste nuove tecnologie ci permettono di mettere l’uomo al centro, ma serve definire delle linee guida per gestire questi strumenti. L’Europa ha già dato le guide: seguire le leggi nazionali, essere robusti e sicuri dal punto di vista tecnologico. A livello italiano abbiamo parlato di: autonomia dell’uomo, potendo sempre sostituire le decisioni dell’AI; questione bias, una situazione molto complessa e interessante; la questione spiegabilità, cercando di capire come si arriva alle decisioni dell’AI; questione influenza, quando incide l’AI sulle decisioni delle persone”.

L’AI e la ricerca: guardare al futuro dell’intelligenza artificiale e delle aziende

Augusto De Castro, Direttore Generale di MADE (Competence Center Industria 4.0), porta al forum milanese l’importanza di lavorare in maniera sinergica con le università. Perché il futuro va ricercato formando (e trattenendo) i migliori talenti. “Noi mettiamo insieme le quattro grandi università tecnologiche lombarde (Politecnico di Milano, Bergamo, Brescia e Pavia), decine di aziende e istituzioni. Fra le tante aziende che abbiamo incontrato, cinquecento erano PMI. A cui abbiamo raccontato come il dato può fare la differenza, anche per chi utilizza macchine industriali che hanno più di 20 anni. Lo facciamo analizzando i dati dei sensori delle macchine, per assicurare la qualità prodotto, fino ad arrivare alla gestione delle macchine da remoto. Fino alla possibilità di fornire macchinari e strumentazioni as-a-service”.

Enrico Deluchi, CEO Di Polihub, ha un punto di vista privilegiato sul futuro dell’intelligenza artificiale e le possibili applicazioni per le aziende. “Noi ci occupiamo di deep tech: ricercatori, imprenditori e innovatori che portano novità radicali, non incrementali. Vediamo molto hardware ma anche software, con l’intelligenza artificiale in tutte le sue forme. Abbiamo quindi una visione non su quello che sta succedendo oggi, ma quello che arriverà fra tre o cinque anni e che avrà un impatto sul mercato nel prossimo decennio“.

Deluchi porta alcuni esempi di progetti ambiziosi. “Chi lavora in questo ambito vuole risolvere grandi problemi, che fanno la differenza per l’umanità. La quantità di dati che abbiamo da sola non può risolvere i problemi dell’umanità, serve l’ingegno umano. I due più grossi problemi ad oggi sono la salute umana e la preservazione dell’ambiente. Un esempio è questa startup di Napoli, Latitudo 40, che elabora immagini satellitari per aiutare a fare programmazione urbanistica sostenibile, suggerendo su come riprogettare le città di domani. Un’altra milanese si chiama ISAAC, che ha un dispositivo da mettere sui tetti delle case per capire quando arrivano i terremoti e applica una forza per annullarne gli effetti. Nell’ambito sanità stiamo vedendo startup che migliorano la vita dei pazienti affetti da glioblastoma usando l’intelligenza artificiale“.

Il futuro dell’intelligenza artificiale è articolato e pieno di spunti davvero interessanti. Ma la cosa più importante è comprendere che non è poi così lontano o complesso anche per le PMI e per i professionisti di ogni astrazione. Potete recuperare l’intero evento su YouTube.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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