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Imprese fra innovazione digitale e sostenibilità, il punto del Politecnico di Milano

Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano mostrano come le aziende stanno cambiando

Le aziende stanno vivendo una transizione senza precedenti, con almeno due punti di svolta epocale. Le indagini degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano analizzando l’approccio delle aziende all’innovazione digitale e alla sostenibilità. L’evento organizzato a Milano dall’università meneghina mostra come il nostro Paese stia investendo in questo futuro digitale e green. Che lascia diversi spunti di riflessione sia per le grandi aziende che per le PMI.

I dati riportati sono stati raccolti dall’Osservatorio Digital Transformation Academy, ma anche dall’Osservatorio Startup Intelligence e Startup Hi-tech. In questo articolo ci concentreremo sull’impatto dell’innovazione digitale sulle aziende di ogni dimensione, mentre approfondiremo la tematica per le startup in quest’altro articolo.

Innovazione digitale e sostenibilità: i dati gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy, GSoM Politecnico di Milano, introduce dapprima un tema quanto mai attuale. Le aziende stanno compiendo la propria transizione digitale. Ma quale impatto hanno avuto i lockdown, la recessione, il conflitto in Ucraina su questa tendenza.

Luksch spiega: “Abbiamo chiesto alle imprese quale è stato l’impatto della situazione macroeconomica sui progetti di digitalizzazione. Il 57% ha avanzato senza problemi, il 28% li ha accelerati e l’1% li ha avviati per la prima volta. Solo per il 13% la situazione è rallentata, solo l’1% ha bloccato dei progetti”.

Una grande spinta sul digitale

Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy e Full Professor, Politecnico di Milano, conferma che questi dati indicano una situazione ormai consolidata. “Indubbiamente l’approccio alla digitalizzazione è cambiato, perché sono cambiate le persone e la loro percezione. Dal punto di vista delle imprese, il PNRR sembra dare una spinta decisiva per passare dall’emergenziale al programmatico. Resta da valutare se anche la sensibilità politica va in questa direzione”.

open innovation summit

Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence, Politecnico di Milano, sottolinea come “Ha fatto più due anni di pandemia che vent’anni di discorsi sulla digital economy. La sensibilità è di certo cambiata: il Paese ha fatto pace con il digitale. Ma sarebbe un peccato non accelerare in questo momento. L’anno scorso eravamo più entusiasti, soprattutto perché i 10 miliardi di PNRR su un mercato di 70 miliardi di euro significa un +15%. Oggi si registra una contrazione, sebbene gli indicatori economici non sia negativi sul periodo analizzato. Dobbiamo accelerare, la derivata deve crescere”.

Gli investimenti in sostenibilità

Se l’esigenza di investire nel digitale è evidente per tutti dopo i lockdown, altrettanto chiara è la necessità di investire in tecnologie ecologiche. Come spiega Claudia Pingue, Senior Partner, Head of Technology Transfer Fund, CDP Venture Capital SGR: “Vogliamo vedere al cambiamento climatico non solo come problema (cosa che è) ma anche come opportunità di investimento. Perché per raggiungere la decarbonizzazione serve puntare su tecnologie emergenti, che sono ancora nei laboratori di ricerca ma che bisogna trasferire sul mercato. Le stime prevedono che per questo trasferimento tecnologico serviranno 90 miliardi di dollari”.

Innovazione digitale e sostenibilità: a che punto sono gli investimenti in Italia?

Il primo importante termometro per capire le sensibilità delle imprese in ambito di innovazione digitale e sostenibilità passa dagli investimenti. Mariano Corso ha quindi introdotto alcuni dati importanti riguardo i fondi spesi in digital trasformation.

Spiega: “Per Collins Dictionary la parola dell’anno 2022 è ‘Permacrisi’: dobbiamo abituarci a questa crisi costante. Questo che impatto sugli investimenti per la digital trasformation? Per il 43% delle imprese italiane il prossimo anno il budget aumenterà: in alcuni casi, il 17%, sarà molto maggiore, oltre al 10%. Solo il 5% lo diminuirà, mentre per il 52% resta invariato”.

Corso inoltre spiega che l’aumento riguarda tutti i tipi di aziende, anche se le ‘grandissime’ sono quelle che frenano di più (+1,9%) rispetto alla media del +2,1%. Questo dato rientra nel trend di crescita pre-pandemici, anche se non corre rapido come l’anno scorso quando era a +4,2%.

In particolare, fra le grandi imprese fanno molto bene le aziende che investono nel settore Information Security, Big Data e Analytics, Cloud. Ma crescono molto anche Digital marketing, Data Center. Mentre rallentano Mobile business e Industria 4.0. Per le PMI la situazione risulta piuttosto simile, con investimenti che crescono soprattutto nel cloud e in sicurezza.

Tema PNRR

Parlando del PNRR, Corso spiega che “Dei 191,6 miliardi di euro, la Missione 1 alloca effettivamente 40,3 miliardi di euro per la digitalizzazione. Ad oggi ne abbiamo impiegati circa 11 miliardi, quindi nei prossimi anni dobbiamo portare a terra (solo per questa Missione) gli altri 29,3 miliardi di euro per evitare che vadano persi”.

C’è quindi bisogno di accelerare. Ma le grandi imprese sanno dove investire. Soprattutto nella Transizione 4.0, ma anche 5G e digitalizzazione della filiera. Circa il 50% delle imprese tuttavia sono disinformate o scettiche rispetto al PNRR, mentre l’altra metà crede possa essere utile (anche se non per tutte sufficiente). Fra le aziende meno informate, le PMI che potrebbero sfruttare questi fondi in chiave strategica.

Investire per trasformare il business

Dopo aver esposto i dati, Corso e Luksch guidano una tavola rotonda che vede diversi esempi virtuosi di aziende che stanno investendo in innovazione digitale e sostenibilità.

Luca Fallica, Head of Program Management & Digital Innovation, Randstad Italia, spiega: “Ranstad Italia ha in atto un processo di trasformazione digitale, ma oltre a portare nuovi strumenti tecnologici abbiamo focalizzato dei progetti business-driven per ottimizzare gli investimenti. Per noi l’aspetto principale è fare da ponte fra le aziende e i talenti. Stiamo razionalizzando il dato per poter gestire al meglio le informazioni sui talenti. Ma stiamo investendo anche sulla questione esperienza utenti: per esempio abbiamo lanciato un nostro metaverso aziendale. Che serve per incontrare i talenti, oppure anche solo per testare fra noi nuove forme di interazione”.

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Francesca Giua, Innovation Manager & Digital EPMO, Unicoop Firenze, porta invece un punto di vista molto diverso. Ma accomunato dall’interesse nel trovare tecnologie per migliorare il proprio business. “Le vecchie generazioni davano per scontato l’affiliazione alla cooperativa, mentre quelle nuove vogliono vedere il valore. Stiamo cercando di passare quindi da azienda prodotto-centrica a una società che mette al centro l’esperienza. Con il digitale stiamo creando relazioni personalizzate per i clienti, trovando soluzioni che mettano al centro la fidelizzazione. Oltre a puntare sul rapporto qualità prezzo sui prodotti, vogliamo fornire un’esperienza migliore sui touch point sia fisici che digitali”.

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Lorenzo Montelatici, Digital Director, Edison, spiega che in un’azienda complessa come la sua innovare assume tante diverse declinazioni. “Lavoriamo sull’automatizzazione di processi ripetitivi, stiamo puntando su piattaforme low-code, ma puntiamo anche sulla cultura, investendo sulla formazione dei talenti in ambito digitale. Forniamo soluzioni che gli esperti IT dell’azienda non hanno risorse e competenze per gestire, ma siamo anche sinergici. Per esempio, abbiamo integrato la nostra data platform mentre l’IT implementava il nuovo sistema di gestione aziendale cloud”.

Edoardo Sala, Digital Innovation Lead, Prysmian Group, che produce e installa cavi che collegano telematicamente il mondo intero, spiega che l’approccio all’innovazione deve sia essere locale che globale. “Vogliamo sempre lavorare in sintonia fra le realtà locali e la direzione del gruppo, quindi anche digitalizzando un singolo stabilimento locale vogliamo che sia scalabile a livello globale. Per noi diventa importante l’inclusione, sia perché colleghiamo fra loro le aziende, sia internamente. Per esempio, siamo un gruppo di 30 mila persone in cui solo il 30% lavora in ufficio, dare accesso ai software HR a tutti diventa fondamentale”.

Innovation Champions e l’importanza della cultura

Filippo Frangi, Ricercatore dell’Osservatorio Startup Intelligence, Politecnico di Milano, spiega che sono ormai in minoranza (13%) le aziende che non hanno nessun modello organizzativo per gestire l’innovazione. La maggior parte ha team dedicati, ma sempre più emerge l’approccio diffusso (il 6% sta cambiando l’intero approccio societario).

“Il 46% delle aziende ha definito un “innovation manager”, un ruolo che l’85% delle imprese ha definito solamente negli ultimi due anni. Non è un caso che abbiano avuto un ruolo importante a cominciare dal periodo pandemico”.

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Gli approcci che le aziende stanno avendo vedono nelle posizioni estreme chi è “businessfirst” e chi è “innovationfirst”. Ma la maggior parte delle aziende gioca un approccio di compromesso. C’è chi ha un approccio “specialistico”, con poche persone che dedicano molto tempo: persone che si candidano volontariamente e hanno esperienze pregresse. L’approccio “diffuso” vede invece tante persone che dedicano poco tempo alla questione, con persone scelte dall’HR.

Frangi spiega che nell’approccio specialistico gli innovation champions puntano a trovare soluzioni innovative e migliorare il business. In quello diffuso, l’obiettivo è l’adozione e il guidare con l’esempio. I benefici per l’azienda sono la diffusione della cultura, che facilità il riconoscimento dei bisogni di business. Ci sono quindi ritmi diversi e approcci variegati, ma la maggior parte delle aziende ha un piano per innovare.

Gli esempi di grandi realtà italiane

Silvia Eleonora Campioni, Chief Innovation Officer, Lactalis Italia, spiega che la sua azienda adotta un approccio misto. Ma riconosce l’importanza di dover ‘contaminare’ con l’innovazione tutta l’azienda. “La cultura mangia la strategia a colazione: in una grande azienda e tradizionale come la nostra, bisogna chiedersi come diffondere l’innovazione. Abbiamo approcciato la sfida come una startup interna: un team di poche persone motivate, con il compito di fare reskilling e dimostra all’organizzazione i risultati. Per fare vedere come l’Open Innovation poteva essere vincente. Ora siamo una scaleup, che vuole far vedere come il cambiamento digitale sia possibile per tutta Lactalis Italia”.

Fabio Ceccarani, CEO, Simonelli Group, ci spiega invece come l’innovazione arrivi anche in un’azienda lontana da poli innovativi. “I driver sono digitale e sostenibilità, ma anche imprevedibilità: saper gestire il cambiamento. In azienda abbiamo riscontrato alcuni problemi: l’inclusione intergenerazionale, necessità di trovare talenti (la nostra azienda è in un comune di 800 anime). Per gestire queste criticità, dobbiamo saper trovare un modello di leadership diffusa e di empowerment che sappiamo governare il cambiamento”.

Federica Dominoni, Innovation Manager, UnipolSai Assicurazioni, invece sottolinea: “Vogliamo essere una bussola per il cambiamento, offrendo gli strumenti per gestirlo. Per farlo servono due matrici: la cultura e il network, puntando a diffondere un modello di engagement con gli innovation champions (che sono circa il 3% all’interno del gruppo). Abbiamo definito queste figure a livello di risorse umane, con un approccio specialistico. Ma stimoliamo anche un approccio generico, chiedendo agli innovation champions di portare in azienda le proprie passioni: se per esempio uno è appassionato di crypto, anche se non c’entra direttamente con il settore assicurativo, può dare stimoli al cambiamento”.

Innovazione digitale e sostenibilità: come misurare il cambiamento

Andrea Gaschi, Senior Advisor dell’Osservatorio Startup Intelligence, Politecnico di Milano, spiega che per valutare il cambiamento serve metodo. I KPI per valutare l’innovazione non sempre sono semplici da seguire, perché più difficili da definire e perché spalmati nel lungo periodo.

Misurare l’innovazione risulta indispensabile per le aziende. Ma non è sempre semplice, anche per questioni sistematiche. Perché l’esito spesso è incerto, perché sono processi non lineari e che manifestano gli impatti con un orizzonte temporale lungo. Quindi applicare i KPI tradizionali rischia di non essere sufficiente. Utilizzare, per esempio, il ROI come unico feedback rischia di essere limitante”.

Misura l’innovazione digitale e la sostenibilità è difficile. Le imprese però si stanno muovendo in questo senso: l’8% ha un modello strutturato, il 25% deve consolidare le metriche, il 49% deve metterlo in atto ma l’ha in programma. Solo il 18% non misura i risultati dell’innovazione.

Il 74% misura i risultati di business e le risorse impiegate. Il 48% valuta le varie fasi operative. Il 40% valuta l’impatto culturale, il 38% sulle competenze e il 29% sul livello di know-how di business. Ma chiedendo alle aziende quali KPI ritengono importanti, la questione cultura, competenza e know-how diventa importante: ma restano difficili da valutare.

Gaschi spiega “Per costruire bisogna tenere in mente tre punti di vista. Innanzitutto, l’approccio del team di progetto, che valuta l’avanzamento del progetto singolo. Poi quello dell’innovation manager, che valuta più progetti. E senza dubbio quello del top management, per capire se l’innovazione è in linea con la strategia aziendale”.

Come le aziende italiane valutano l’innovazione

Andrea Isidori, Head of Open innovation & research, Sogei, spiega l’approccio del suo gruppo. “Sogei fa ricerca da sempre, ma fa Open Innovation da tre anni. Per misurare questo cambiamento abbiamo iniziato con 14 KPI, che ora sono diventati 60. E presto si triplicheranno. Abbiamo fatto survey, analizzato il mercato, ci siamo confrontati con tutti gli indicatori principali a livello italiano ed europeo. Abbiamo così creato una mappa strategica che mette insieme le KPI finanziarie, dei clienti, dei dipendenti: insieme formano uno score per valutarci. Un oggetto trasparente, che permette a tutti i dipendenti di diventare innovation center”.

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Paolo Magni, Innovation Manager, Gruppo Enercom, spiega che la sua azienda non ha un processo perfetto per misurare l’innovazione. Ma sta trovando il modo di diffondere la cultura innovativa. “Misuriamo con sudore, fatica, buona volontà e speranza. Non abbiamo ancora trovato la ricetta per misurare questo concetto così complesso, ma il nostro obiettivo è di comunicare in maniera trasparente per coinvolgere il maggior numero di dipendenti nell’innovazione. L’ottimo spesso è nemico del buono: il nostro obiettivo è di non lasciare indietro nessuno che voglia il cambiamento, ma non è possibile pensare di poter coinvolgere tutti allo stesso modo. Abbiamo sviluppato una piattaforma che vogliamo diventi un punto di aggregazione e comunicazione. Il sogno è avere tutti nel gruppo a bordo, ma realisticamente dobbiamo puntare alla maggioranza. L’innovazione può unire le aziende del gruppo, che sono operativamente separate anche per questioni normative. Ci stiamo sforzando per dare a tutti gli strumenti per partecipare, la fase successiva sarà misurare il grado di partecipazione”.

La certificazione IOS 56002

Giulia Minghetti, Innovation Analyst, Siram Veolia spiega invece l’importante certificazione che il suo gruppo ha ottenuto. “Siamo il primo grande gruppo certificato nell’innovazione (ISO 56002). Abbiamo creato un portfolio dove comunichiamo tutti i nostri processi, declinandoli per mostrare gli avanzamenti in ogni fase per ognuno dei progetti di innovazione. Ogni tre mesi nell’ISO 56002 dobbiamo riportare gli avanzamenti di progetto tramite dei KPI chiari. Ogni anno, il certificatore verifica questi KPI: il tempo per fase del processo, le ore/persona dedicate. Noi abbiamo un sistema di premialità interna in busta paga per far sì che i dipendenti seguano e alimentano il progetto. Questo motiva i nostri innovation manager a produrre risultati quantificabili”.

Il ruolo dell’innovazione digitale in ambito sostenibilità

Alessandra Luksch ci spiega che “Gli investimenti in ambito sostenibilità stanno crescendo, anche se vediamo che le PMI investono meno rispetto alle grandi impresi. Il 65% delle grandi imprese e il 29% delle PMI stanno investendo nel digitale per puntare sulla sostenibilità. Entrambe investono soprattutto in Big Data per analizzare dove ridurre le emissioni, ma anche su Cloud e Smart Working (soprattutto per le grandi aziende). Il 20% delle grandi aziende e il 25% delle PMI investirà a breve, mentre il 15% delle grandi e il 46% delle PMI non hanno nessun investimento previsto”.

“Per le PMI il gap si forma soprattutto per via delle difficoltà quotidiane, che lasciano poco spazio a questi investimenti. Ma c’è anche un problema di comunicazione, che dovrebbe essere affrontato a livello di sistema”.

L’innovazione digitale ha un ruolo da giocare per ripensare i modelli in ottica sostenibilità: è la sfida di questo secolo. Serve però rivoluzionare il proprio modello di business a 360 gradi. Le risorse in gioco sono molte, ma bisogna avere il coraggio di innovare per sfruttarle. E c’è bisogno di un approccio sistematico per recuperare i gap accumulati.

Un approccio sostenibile

Stefano Cortellesi, Referente processi IT Open Innovation, Inail, spiega: “Inail si occupa soprattutto di sostenibilità social, anche se stiamo lanciando progetti per la sostenibilità ambientale. Uno dei progetti che abbiamo lanciato riguarda la realizzazione di due esoscheletri, uno per i lavori gravosi e uno per la riabilitazione. Questo permette di ridurre l’impatto delle malattie professionali. E poi abbiamo diversi studi per analizzare le protesi e i supporti, anche utilizzando l’IoT. A livello ambientale abbiamo lanciato un’attività di gamification per incentivare alla mobilità sostenibile negli spostamenti casa-lavoro”.

Antonio Ganzerli, Digital Sustainability Program Leader, Enel, spiega che per un’azienda come Enel puntare sulla sostenibilità diventa essenziale. “Il digitale ha un grande potenziale per raggiungere la sostenibilità, ma dal suo lato consuma energia: è parte della soluzione e parte del problema. Abbiamo quindi ideato un Digital Sustainbility Framework che ci permette di analizzare l’impatto sostenibile di tutti i progetti che lanciamo, in modo da valutare l’impatto effettivo”.

Sofia Khadiri, Responsabile Innovation Lab LDV20, Sparkasse Cassa di Risparmio di Bolzano, spiega: “Stiamo adottando strategie ESG da poco, coinvolgendo Civibank che prima di entrare nel gruppo è diventata società benefit. Nell’Innovation Lab LDV20 noi ci impegniamo ad accompagnare le aziende clienti e le startup verso una crescita finanziaria sostenibile. Il digitale può diventare un abilitatore per la gestione locale intelligente delle risorse energetiche, oltre che abilitare l’ottenimento di certificazioni green non semplici da gestire. Inoltre, c’è la questione delle materie prime, fondamentale per entrare in ottica di economia circolare”.

Il digitale per dare nuova vita ai pneumatici

Rita Speranza, Project Leader del progetto gestione PFU, Automobile Club d’Italia, spiega come il digitale aiuti l’ACI a ridare nuova vita ai PFU: un approccio che unisce innovazione digitale e sostenibilità. “Se avete di recente comprato un veicolo, potreste avere notato una seconda riga in fattura oltre al prezzo: un piccolo contributo che noi utilizziamo per gestire ogni anno tonnellate di pneumatici da riciclare (PFU). Così facendo l’ACI può dare una seconda vita a questi PFU, utilizzando una piattaforma digitalizzata che guida tutte le fasi del processo. Questo crea un valore per l’ambiente, riducendo le emissioni e annullando l’utilizzo di materie prime vergini. Inoltre, i PFU smaltiti sono riutilizzati per pannelli fonoassorbenti, pavimentazione sportiva e altro ancora”.

Il ruolo dell’Open Innovation per le aziende

Stefano Mainetti spiega che per valutare l’impatto dell’Open Innovation per le aziende, gli Osservatori del Politecnico di Milano hanno voluto fare un confronto in cinque anni di tempo. “Abbiamo voluto ampliare lo sguardo sull’ecosistema di innovazione, confrontando i dati fra il 2018 e il 2022: cinque anni per capire come cambia questo fenomeno. Nel 2018, i vendor e sourcer ICT era il primo stimolo per l’innovazione nel 2018 (42%), mentre sono scesi quest’anno (32%). Anche l’R&D interna cala (20 rispetto al 15%), così come i clienti esterni (36 rispetto al 29%). Invece cresce l’incentivo da parte del top management (da 38 a 42%), ma anche le Funzioni Aziendali, tutti i manager (da 32 a 40%). Le Startup inoltre contribuiscono di più (dal 15% al 26%) e le Università, che passano da 15 al 26%”.

Più di quattro aziende su cinque praticano Open Innovation, soprattutto collaborando con le università. Ma cresce l’inbound open innovation rispetto alla Startup Intelligence, che passa da un contributo di 45% al 52%.

Modelli di Open Innovation

Silvia Celani, Head of Innovation, Acea, spiega che la sua azienda ha maturato un approccio di Open Innovation preciso negli anni. : “Abbiamo un modello ormai maturo di Open Innovation, che sfrutta sia l’inbound che gli outbound per il nostro ‘viaggio di innovazione’. In questi anni abbiamo realizzato diverse call for ideas sui territori in cui lavoriamo, collegandoci al nostro Innovation Day per parlare di smart cities. Abbiamo coinvolto molte startup, con soluzioni che stiamo anche introducendo in azienda”.

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Valeria De Flaviis, Responsabile Innovation Lab & Digital Transformation, Cassa Depositi e Prestiti, spiega l’approccio a innovazione digitale e sostenibilità di CDP. “Il nostro team ha sviluppato un sistema di Open Innovation che attinge all’ecosistema, anche attingendo alle risorse delle startup di CDP Venture Capital. L’obiettivo è attingere a quello che c’è all’esterno per portare un valore aggiunto all’interno, capendo come cambiare il modo di lavorare ormai attestato in chiave innovativa”.

L’innovazione richiede un sistema

Eda Fetahu, Open Innovation Expert, Amadori, spiega che ormai dal 2018 il suo gruppo ha un approccio di Open Innovation molto spinto. “Ad oggi l’innovazione ha una spinta sia interna che esterna, dal top management e dalle startup. Quindi Amadori vuole agire su questi due fronti, non solo guardando le novità interessanti all’esterno ma anche con iniziative interne”.

Cecilia Visibelli, Head of Digital Transformation&Technology Open Innovation Hub, Snam, sottolinea come la questione culturale sia al centro. “L’innovation champions del nostro hub sono coloro che portano in azienda la cultura dell’azienda: le persone stanno al centro. Abbiamo realizzato diversi progetti e iniziative, ma è questo cambio di cultura che porta innovazione, senza lasciare dietro nessuno. Creare valore e misurarlo è fondamentale, ma l’Open Innovation permette di cambiare le aziende in maniera radicale”.

Emanuele Zingale, Head of Open Innovation, TIM, interviene online per spiegare che: “Grazie anche alla collaborazione con aziende innovative (nazionali e internazionali), TIM sta innovando molto. La nostra principale iniziativa attualmente è Smart City Challenge, che vuole identificare le realtà che possono cambiare le città italiane. Abbiamo deciso di lanciare questa iniziativa con diversi partner, perché crediamo che collaborare sia la chiave di volta per innovare. Unire le forze per il digital journey delle città italiane. Le startup hanno la possibilità di creare percorsi industriali per portare le soluzioni sul mercato, con TIM che mette a disposizione la propria tecnologia e la propria esperienza”.

Potete trovare ulteriori asset e studi sul sito degli Osservatori Digital del Politecnico di Milano.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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