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Google Analytics e privacy: cosa fa (e cosa NON fa) il servizio

Il tool serve per migliorare le prestazioni dei siti, non monitorare i visitatori

Google Analytics è uno strumento potente per valutare l’andamento di siti e app, analizzando in questo modo il rendimento di siti di e-commerce e campagne di ogni tipo. Un tool essenziale per gestire la propria attività online. Ma l’interesse delle aziende non può venire prima dell’attenzione alla privacy degli utenti. Per questo motivo Google ha di recente chiarito quali dati raccoglie e come li utilizza per dare insight in Analytics, pur rispettando la privacy di chi visita siti e utilizza app. Anche in luce del recente richiamo del Garante della Privacy italiano, che invita i gestori di siti e app a prestare maggiore attenzione alla privacy.

Google Analytics e la privacy: come funziona?

Bilanciare la necessità di dati delle digital economy con i diritti di chi i dati li genera non può essere qualcosa che diamo per scontato. Anche le aziende e i professionisti devono sapere come tutelare i dati di chi visita i propri siti e utilizza le app sviluppate. Per questo di recente Google, oltre ad aggiornare le proprie guide su Analytics, ha spiegato quello che fa e quello che non fa con i dati degli utenti.

Il primo punto essenziale riguarda l’obiettivo di questo strumento. Migliorare le app e i siti, non monitorare le persone e profilarle. Google ha spiegato in maniera esplicita che Analytics non crea profili degli utenti. Ma per capire se un sito è performante, quanto volte viene abbandonato il carrello e soprattutto perché un sito o un’app funzionano o meno, deve raccogliere dati.

Dati come il tipo di dispositivo (un sito può funzionare bene su PC ma non su smartphone, per esempio) o di browser usato. Il tempo trascorso in media, una localizzazione geografica approssimativa. Dati che però l’azienda afferma di non utilizzare per identificare le persone. E fornisce inoltre strumenti per eliminare eventuali dati riconoscibili caricati accidentalmente sui server.

google analytics privacy come funziona

I dati sono controllati dai proprietari di siti e app, non da Google

Un’altra precisazione che Russell Ketchum Director, Product Management di Google Analytics, tiene a fare riguarda l’utilizzo dei dati. La proprietà di queste informazioni resta a chi ha creato siti e app, non a Google. Google li salva e produce report in base a quanto richiesto dai proprietari.

Queste organizzazioni possono condividere i dati per assistenza tecnica, benckmarking e supporto. Ma devono fare richiesta esplicita per fornire dati per creare prodotti e servizi. Non sono impostazioni obbligatorie, possono evitare di fornirli.

Inoltre Google fornisce in Analytics una serie di strumenti per tutelare la privacy degli utenti. Come la possibilità di mascherare l’IP, in modo che non venga mai registrato per intero. Su determinate pagine possono disabilitare parzialmente o del tutto la raccolta dati. Inoltre, possono decidere pe quanto tempo Analytics può conservare i dati a livello utente. E anche eliminarli presentando una richiesta di rimozione per dati di utenti singoli.

Lato utente, chi visita le pagine web può decidere di abilitare un componente aggiuntivo del browser per disattivare la misurazione della navigazione da parte di Google Analytics. Gli utenti possono inoltre decidere se abilitare o bloccare i cookie sui siti singoli oppure su tutti. I proprietari di siti e app hanno l’obbligo di informare dell’utilizzo di Analytics, chiedendo il consenso informato degli utenti.

Google Analytics e la privacy: no ad annunci basati su salute, etnia, orientamento sessuale e altro

Google ha inoltre specificato che Google Analytics non è uno strumento per mostrare annunci, ma per analizzare il rendimento dei siti. Ma è vero che molte aziende utilizzano i dati raccolti da Analytics per implementare campagne pubblicitarie. Se però utilizza le piattaforme pubblicitarie di Google (come fa una buona fetta di internet), deve rispettarne le regole.

google analytics privacy come-min

Fra queste, l’impossibilità di mostrare annunci basate su dati come salute, origini etniche, religione o orientamento sessuale. È vietato in maniera esplicita e diretta.

Qualsiasi dato, tuttavia, secondo il GDPR può lasciare il territorio dell’Unione Europea solo in determinate condizioni. I dati possono quindi andare negli Stati Uniti per l’analisi, in maniera anonima se l’organizzazione ha espressamente abilitato questa funzione. Google assicura una grande protezione crittografica e certificazioni internazionali per assicurare che i dati sia protetti.

Tutte queste misure, se i proprietari dei siti scelgono di anonimizzare i dati, dovrebbero servire per garantire la privacy di naviga ma anche la possibilità di analizzare il sito per aziende e professionisti. Tra le righe si legge però la necessità di prestare attenzione sia lato azienda che lato utente per garantire che tutte le impostazioni di protezione dei dati siano rispettati.

Gli strumenti per tutelare la propria privacy e quella altrui ci sono, ma vanno utilizzati in maniera intelligente. Infatti il recente intervento del Garante della Privacy si rivolge direttamente ai gestori dei siti, più che a Google. L’azienda di Mountain View sta implementando soluzioni che rendano più semplice aderire a queste disposizioni per la protezione dati. Ma nel frattempo, ci vuole maggiore attenzione da parte di aziende e professionisti.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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