Recentemente, si parla sempre più spesso dell’uso dell’AI per la gestione delle risorse umane aziendali; una intelligenza artificiale può, da una parte velocizzare lo spoglio di centinaia di CV e dall’altra individuare in maniera efficiente i migliori talenti. Capgemini è un azienda che, tra le molte cose che fa, aiuta i suoi clienti a organizzare la forza lavoro, non può quindi fare a meno di avere un gruppo di lavoro per applicare l’AI all’HR; per capire meglio lo stato del mercato e che cosa fa Capgemini per i suoi clienti, abbiamo incontrato e intervistato Simon Büschges, Employee Experience & HR Consultant di Capgemini Invent. La discussione ha portato alla luce molti aspetti interessanti, soprattutto il fatto che l’uso dell’AI per l’HR, secondo Capgemini, non si limita solo alla fase di assunzione di un dipendente.
Innanzitutto, grazie per questa intervista. Inizierei, come mio solito, parlando di lei. Può presentarsi ai nostri lettori e parlarci del suo percorso professionale?
Certo! Lavoro come consulente presso Capgemini Invent, concentrandomi sull’ottimizzazione delle risorse umane e sulla valorizzazione del benessere dei dipendenti dei nostri clienti. Il mio obiettivo principale è l’implementazione dell’intelligenza artificiale nel settore delle risorse umane.
Ho una formazione in psicologia, con un Master conseguito presso l’Università di Maastricht, e un ulteriore Master in economia e management presso l’Università di Pechino. Questa combinazione mi ha permesso di unire le mie competenze umanistiche a quelle aziendali nel campo delle risorse umane.
Il mio interesse per la tecnologia mi ha portato a evolvere da un ruolo puramente HR verso una figura più focalizzata sulla tecnologia applicata alle risorse umane. Ho così acquisito una solida esperienza nella gestione dei sistemi tecnologici aziendali; un’esperienza che mi ha appassionato a tal punto da decidere di dedicarmi completamente a questo ambito.
In Capgemini Invent, mi occupo specificamente dell’applicazione dell’intelligenza artificiale alle risorse umane, sfruttando le potenzialità di questa tecnologia per innovare e migliorare i processi HR.
Quindi lei non nasce inizialmente come esterto di tecnologie informatiche. Questo è interessante. Perché alcuni credono ancora in questa leggenda urbana per cui l’AI sia una cosa solo per informatici e matematici.
Penso che una cosa davvero interessante di un’azienda come Capgemini sia che abbiamo specialisti in entrambi i settori. E credo anche che abbiamo bisogno di entrambi per creare davvero questo tipo di tecnologia e aiutare le aziende a implementarla. Perché, in effetti, sono necessari specialisti per gli aspetti tecnologici, ma sono altrettanto importanti le soft skill legate alle risorse umane, per poter capire i processi e l’esperienza dei dipendenti. Mi piace molto lavorare con i miei colleghi specializzati nella tecnologia dell’AI perché c’è moltissimo da imparare. È un po’ come sfidarsi a vicenda continuamente, per andare avanti e migliorare sempre di più.
Affrontiamo l’argomento principale di questa intervista: l’AI e le risorse umane. A che punto siamo su questo tema? Possiamo tracciare un quado di quanto in profondità stiamo scavando?
Posso descriverlo con una metafora. Penso che, in un certo senso, sia un po’ come una giungla. All’inizio non ci sono sentieri, ma poi i primi innovatori iniziano a tagliare la fitta boscaglia con un machete, cercando di trovare una strada. Ora, lentamente, siamo al punto in cui altri iniziano a seguire i primi apripista e il sentiero sta diventando un po’ più ampio. Le persone si sentono un po’ più sicure su dove stanno andando. Tuttavia, non è ancora una strada, non è comoda e attraversa solo la boscaglia. Perché siamo ancora in una fase di esplorazione.
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Capgemini ha appena pubblicato uno studio che dice che il 24% delle organizzazioni sta effettivamente implementando casi d’uso di AI generativa per l’HR. Ciò però non significa che abbiano completamente capito come usarla. Inoltre, il 40-50% delle organizzazioni sta facendo sperimentazioni con l’AI, anche nel campo nelle risorse umane. Quindi c’è sicuramente molto movimento, le persone sono consapevoli del potenziale dell’AI, ma spesso non sono sicure di cosa possano riuscire a ottenere.
Ed è qui che entrano in gioco aziende come Capgemini e Capgemini Invent. Abbiamo le competenze per supportare effettivamente i nostri clienti attraverso il processo di trasformazione. Parlando con loro da una parte di strategia relativa all’AI nelle risorse umane e dall’altra di casi d’uso specifici. Quindi, ci sono alcuni innovatori che stanno già facendo cose fantastiche, pensando anche all’AI per l’HR come una parte di una strategia più ampia.
Contemporaneamente, c’è l’AI Act dell’Unione Europea, che sta lentamente entrando in vigore. Questo sta rendendo le aziende più consapevoli perché, naturalmente, i sistemi di HR sono spesso nella categoria a rischio più elevato. Quindi, le aziende stanno davvero esplorando e vedendo come possono sfruttare gli enormi potenziali offerti dall’AI nelle risorse umane.
Quindi, c’è un percorso che stiamo tracciando ora, ma abbiamo ancora molta strada da percorrere. Parlando di strada da percorrere, qual è secondo lei il malinteso più comune che le aziende, e i loro dipendenti, devono affrontare oggi quando si parla di AI per le risorse umane?
Penso che una delle più grandi paure delle persone sia che l’intelligenza artificiale sostituirà completamente i lavoratori umani e prenderà tutte le decisioni. Immaginiamo di candidarci per un lavoro: potremmo temere che nessun essere umano legga mai il nostro curriculum, ma che sia solo un sistema di AI a valutarlo e decidere se siamo adatti a un colloquio, forse condotto anch’esso da un’intelligenza artificiale.
Non credo che questo scenario si verificherà.
L’AI è eccezionale in compiti che gli esseri umani trovano difficili, ma è altrettanto vero il contrario. Le risorse umane sono un campo in cui il tocco umano è indispensabile. La collaborazione tra uomo e macchina, una sorta di ‘simbiosi’, è invece la chiave per il successo.
Un esempio calzante è il torneo di scacchi uomo-computer del 2005. A vincere non furono i più forti scacchisti né i computer con gli algoritmi più sofisticati, ma due giocatori dilettanti che sapevano sfruttare al meglio le potenzialità dei loro computer. Questo dimostra che il futuro delle risorse umane sarà caratterizzato da una stretta collaborazione con l’AI.
L’intelligenza artificiale si occuperà delle attività ripetitive e di analisi dati, lasciando agli esseri umani i compiti che richiedono empatia, creatività e capacità di relazione, come lo sviluppo delle competenze dei dipendenti e la definizione di strategie a lungo termine. In questo modo, i professionisti delle risorse umane potranno concentrarsi su ciò che fanno meglio,
La vostra è un’azienda molto grande e sicuramente ospita diverse generazioni al suo interno. Avete notato qualche differenza nel modo in cui le diverse generazioni affrontano l’arrivo dell’AI nelle risorse umane?
Questa è una domanda molto importante. In realtà, abbiamo qualcuno nel nostro team che ha appena svolto una ricerca approfondita sul tema dell’accettazione dell’AI. E quello che ha scoperto è che i dipendenti più anziani si fidano di meno dell’AI per la gestione delle risorse umane e sono anche meno propensi ad accettarla.
In generale, e questo vale per le persone di tutte le età, fiducia e accettazione devono essere guadagnate. Non ci si può semplicemente aspettare che le persone, indipendentemente dall’età, si fidino e accettino l’introduzione di sistemi basati su AI. È necessario guadagnare quel tipo di fiducia. E questo, generalmente, dipende anche dall’ambito in cui ci si muove. Ad esempio, con i servizi HR, le persone sono generalmente più propense ad accettare l’uso dell’AI. Mentre, sempre secondo la nostra ricerca, la gestione delle prestazioni è risultata essere il punto in cui le persone si fidano di meno.
Quello che è emerso da questa ricerca è che ci sono una serie di elementi molto importanti da considerare. Innanzitutto, lo sforzo richiesto al dipendente; i benefici attesi che gli individui otterranno da un sistema di AI, oltre che i rischi possibili che associano ad esso. E poi c’è anche da considerare l’ambiente sociale: come si sentono i miei colleghi a riguardo? Come si sente il mio manager a riguardo?
Per dare una mano su questi temi, occorre concentrarsi sullo sviluppo di tre aspetti per creare fiducia nell’AI. Innanzitutto, un’AI robusta; bisogna assicurarsi che il sistema funzioni effettivamente come dovrebbe. Poi, un’AI conforme alla legge; per garantire che l’azienda non corra rischi in tal senso. E infine, un’AI etica. Inoltre, bisogna assicurarsi che i dipendenti sappiano che tutto questo non viene fatto a casaccio, che siano consapevoli di quali dati vengono usati e di come vengono usati.
In generale, la cosa che le persone temono è di perdere il contatto umano sul lavoro; che nelle risorse umane non ci siano più umani con cui parlare e che tutto sia gestito da robot. Quindi, alla fine, si tratta di costruire consapevolezza e coinvolgimento. Ascoltare i dipendenti e lavorare con i loro feedback per assicurarsi che le persone si sentano ascoltate e abbiano voce in capitolo sulla trasformazione in corso; non importa davvero quale sia la loro età.
Parliamo ora di Capgemini. Cosa fa la vostra azienda per i suoi clienti su questo tema?
Facciamo sicuramente molte cose diverse. In generale, supportiamo le organizzazioni nella loro strategia HR che fa uso dell’AI. Le assistiamo anche in casi d’uso specifici. E poi, naturalmente, una volta che abbiamo definito con i nostri clienti quali sono i casi d’uso da implementare, offriamo supporto anche per l’implementazione. Questo, in collaborazione con i nostri partner, sia sul lato tecnologico (come Microsoft, AWS, Google), sia sul lato HR (come SAP, Workday o ServiceNow, ma anche molti altri). Con tutti questi partner, possiamo davvero supportare l’intero processo.
Può farci qualche esempio di casi d’uso significativi?
Un esempio che posso fare è il problema delle aziende che rischiano di perdere competitività a causa della fuoriuscita di competenze. Si potrebbe dire che diventano più ‘stupide’ ogni volta che un dipendente se ne va. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei paesi con un’età media elevata, come la Germania e anche l’Italia, dove molti lavoratori stanno andando in pensione.
La nostra soluzione, in questo caso, è un avatar alimentato dall’intelligenza artificiale. Il dipendente in procinto di lasciare l’azienda interagisce con questo avatar, condividendo le proprie esperienze, conoscenze, i progetti su cui ha lavorato e indicando i colleghi più competenti per specifici argomenti. In altre parole, trasmette tutto ciò che il nuovo arrivato deve sapere per svolgere al meglio il proprio ruolo. Tutte queste informazioni vengono salvate in un database e rese disponibili al nuovo assunto, sia che arrivi immediatamente sia in sei mesi o in un anno. Il neoassunto può consultare l’avatar, utilizzare un chatbot o seguire un percorso di formazione personalizzato creati sulla base delle conoscenze raccolte dal suo predecessore.
Un altro ambito di applicazione e quello dell’intelligenza artificiale conversazionale per l’assistenza di primo livello. Molti dipendenti, infatti, hanno spesso dubbi riguardanti le risorse umane o le procedure aziendali. Rivolgersi al proprio manager per ogni quesito può rivelarsi molto dispendioso in termini di tempo, soprattutto se le domande sono dettagliate e richiedono approfondimenti. È quindi necessario semplificare questo processo. Anche perché ai dipendenti non piace dover attendere per ottenere una risposta di questo tipo e i manager non possono essere sempre disponibili 24 ore su 24.
La nostra proposta è di utilizzare un’intelligenza artificiale conversazionale come primo punto di contatto. In questo modo, i dipendenti possono interagire con un chatbot o, se lo preferiscono, con un avatar, ponendo le loro domande. Ad esempio, si potrebbe chiedere all’avatar: ‘Quanti giorni di ferie mi restano? Vorrei prenotare cinque giorni dal 25 al 29 luglio‘. Il sistema di intelligenza artificiale si può occupare di organizzare tutto inviando automaticamente una richiesta al manager per l’approvazione.
E come mai, allora, spesso siamo portati a credere che l’uso dell’AI è limitato al processo di assunzione?
Penso che l’IA nel reclutamento sia un argomento molto importante perché, in generale, è fondamentale per le aziende riuscire ad attrarre i migliori talenti.
Soprattutto in un momento in cui assistiamo a un crescente numero di pensionamenti, abbiamo bisogno di un ricambio generazionale e l’AI può rappresentare un valido alleato in questo processo. Ad esempio, potremmo impiegare un’intelligenza artificiale conversazionale per il sourcing attivo: potrebbe contattare proattivamente i candidati potenziali, interagire con loro e guidarli attraverso le varie fasi della candidatura. Oppure potrebbe supportare la gestione logistica dei colloqui, come la pianificazione degli appuntamenti e l’organizzazione degli incontri.
Al di là del reclutamento, l’AI ha un potenziale enorme nell’ambito delle risorse umane, potendo essere applicata a molteplici aspetti della gestione del personale. Tuttavia, è importante ricordare che l’accettazione dell’AI non è uniforme in tutti i contesti. Ad esempio, nel caso della gestione delle performance, è fondamentale coinvolgere attivamente i dipendenti per comprendere le loro esigenze e preferenze. In definitiva, si tratta di trovare un equilibrio tra l’utilizzo di strumenti innovativi e la necessità di garantire che questi siano percepiti come utili e vantaggiosi dai dipendenti stessi.
Torniamo a parlare dell’esperienza di Capgemini. Avete clienti di tutte le dimensioni; quanto è scalabile l’uso dell’AI per le risorse umane? È solo alla portata di una corporate o può essere davvero conveniente anche per una PMI?
Questa è un’altra domanda molto importante. Io penso che la scala conti, ma solo fino a un certo punto.
Fondamentalmente, le grandi imprese hanno molte più risorse e possono investire in soluzioni di AI più sofisticate. Inoltre, hanno anche molti dati che possono usare per l’addestramento dell’AI, perché l’altro aspetto fondamentale è che bisogna avere dati di buona qualità. Infine, queste grandi aziende hanno l’opportunità di personalizzare davvero i loro sistemi di AI sulla base delle loro esigenze specifiche.
In generale, però, l’AI sta diventando sempre più scalabile ed economica e, di conseguenza, anche più accessibile alle piccole e medie imprese. Ci sono molte aziende SaaS che si rivolgono specificamente a organizzazioni più piccole. Quindi, molte startup offrono, ad esempio, sistemi di tracciamento dei candidati basati su AI o AI conversazionale per il coinvolgimento dei candidati, così come strumenti di feedback automatizzato per i dipendenti. Per cui, anche per le PMI, ci sono molte opzioni disponibili.
Per fare un esempio, ho lavorato in passato in un’azienda di medie dimensioni con circa 250-300 dipendenti. Quello che stavamo facendo all’epoca era lavorare con una sentiment analysis [analisi di un testo per identificare la predisposizione emotiva del messaggio n.d.r.] basata su AI per il feedback dei dipendenti. Ed erano una grande quantità di informazioni per menbri del team HR e i manager fossero relativamente pochi. Quindi, c’è sicuramente, anche a un livello più piccolo, una vasta gamma di ottimi strumenti disponibili oggi per supportare aziende. In generale, la chiave per queste aziende è identificare i punti specifici dove l’AI può avere il maggiore impatto, iniziare in piccolo con progetti specifici e scalare in un secondo momento.
Parliamo ora del suo team. Le andrebbe di condividere qualche vostra storia di successo?
Sarei felice di parlarvi di due casi di successo su cui abbiamo lavorato, entrambi nel settore dei beni di consumo.
Il primo riguarda un grande produttore alimentare norvegese. L’azienda aveva un manuale per i dipendenti così complesso da rendere difficile trovare le informazioni necessarie. Di conseguenza, il personale HR e i manager passavano moltissimo tempo a rispondere alle domande dei dipendenti, sottraendolo ad altre attività più importanti. La soluzione è stata creare un chatbot per HR in grado di rispondere in modo accurato alle domande dei dipendenti. I test interni hanno dimostrato l’efficacia del chatbot, che ha consentito all’HR e ai manager di risparmiare un’enorme quantità di tempo.
Il secondo caso riguarda una catena di supermercati in Spagna. La sfida principale era l’onboarding del nuovo personale IT, un processo lungo e inefficiente. I nuovi assunti impiegavano troppo tempo a diventare produttivi, non sapendo bene dove iniziare e a chi rivolgersi. Per risolvere questo problema abbiamo implementato un sistema di knowledge management potenziato dall’intelligenza artificiale e dotato di un’interfaccia conversazionale. In questo modo, i nuovi dipendenti potevano interagire con il sistema per ottenere le informazioni necessarie e accelerare il loro processo di apprendimento. Grazie a questa soluzione, il tempo di onboarding è stato dimezzato, passando da quattro a due settimane.
Entrambi i casi dimostrano il grande potenziale dell’intelligenza artificiale nel trasformare i processi aziendali. Capgemini, devo dire, ha avuto un grande successo con l’AI in generale. Infatti, Forrester, che ha recentemente rilasciato la sua classifica dei servizi di intelligenza artificiale, ha riconosciuto Capgemini come leader del settore.
- Lekahena, Sonja (Autore)
La redazione ringrazia Simon Büschges per il tempo che ha voluto dedicarci e per gli interssanti spunti su come l’intelligenza artificiale può efficientare la gestione del personale lungo tutto il suo arco professionale.
Capgemini offre un ampio portfolio di prodotti e servizi; se siete interessati nello specifico alla gestione delle risose umane, vi segnaliamo una sezione dedicata all’interno del loro sito.