Aziende

L’importanza (e il problema) della diversità nelle aziende

Il tema della diversità e dell’inclusività nelle aziende è sempre più sentito e riconosciuto come importante in questi ultimi anni. Sempre più posti di lavoro riconoscono questo valore, che non è solo di immagine ma è anche economico e di business. Proviamo a capire perché questo tema sia effettivamente così importanti e quali sono gli ostacoli e i problemi che si presentano quando si prova ad affrontare.

Le aziende e la diversità

La potenza della diversità e dell’inclusione è stata suggerita da molti studi. Già un’analisi del 2015 di Forbes evidenziava come le aziende con più diversività etnica hanno in media il 35% di possibilità in più di avere ritorni finanziari più alti della mediana nazionale. La probabilità è del 15% in più se si guarda alla diversità di genere.

Ovviamente la correlazione non implica una relazione di causa-effetto. Potrebbe anche infatti essere che le aziende più di successo, che quindi comunque andrebbero meglio, sono anche quelle con le disponibilità economiche necessarie ad investire in programmi di diversità. Ma diverse letture e interpretazioni sembrano sostanziare i motivi per cui una forza lavoro diversificata, soprattutto se trasversale ai vari livelli manageriali, è positiva anche da un punto di vista di business.

Gli argomenti a favore

Secondo il report “Diversity wins” di McKinsey, diversità vuol dire diversi punti di vista, prospettive ed esperienze di vita che possono risultare fondamentale per capire i propri clienti, che spesso sono altrettanto se non più diversificati, e per la crescita di un business. Un’azienda dove sono presenti diversi punti di vista valutati con lo stesso valore è un’azienda dove le persone si sentono in condizioni di potersi esprimere e di potersi sentire coinvolti nelle dinamiche aziendali. Un coinvolgimento che è importante per la soddisfazione lavorativa, la retention e la produttività.

Il risultato non è automatico. Non basta assumere più persone appartenenti a gruppi marginalizzati per ottenere dei risultati. Bisogna anche effettivamente ascoltare il loro punto di vista ed integrarle non solo ai livelli più bassi, come è purtroppo in molte aziende, ma anche in ruoli effettivamente decisionali. Per questo, spesso e volentieri, più che di ‘diversità’ e basta si parla di ‘diversità e inclusione’. Inoltre, al netto dei vantaggi visti sopra, che si traducono in un miglior ambiente di lavoro, non è comunque detto che una forza lavoro più diversificata porti in maniera lineare a risultati finanziari migliori, anche se sicuramente la prima cosa può favorire la seconda.

Pochi fatti, molte parole

Nonostante quanto visto sopra, la forza lavoro, soprattutto “ai piani alti”, continua ad essere molto poco diversificata. Le stesse aziende big tech, tra le prime che spendono un sacco di soldi nel promuovere la diversità (o meglio, a promuoversi come un esempio di questo principio), nei fatti hanno un forza lavoro che non riflette la demografia della nazione in cui operano.

Ne è un esempio Microsoft, un’azienda che ha investito molto in questo senso. Ma che, secondo i dati del suo stesso report del 2021, è ancora lontana da diversi obiettivi chiave. A livello di genere globalmente, le donne continuano ad essere solo il 30.9% della forza lavoro. A livello etnico, le persone nere e afroamericane impiegate negli USA sono il 5.7%, pur rappresentando il 12.1% della popolazione. Le persone ispaniche, sempre negli USA, sono il 6.9%, contro una popolazione generale del 18.7%. Guardando specificatamente ai ruoli esecutivi, le percentuali scendono al 25% per le donne e al 3.7 per le persone ispaniche, rimanendo circa uguali (5.6%) solo per le persone nere e afroamericane.

Risultati che per alcune persone potrebbero non sembrare così terribili, ma che si riferiscono comunque ad una multinazionale tech che ha puntatato e punta molto su questo aspetto. E che nonostante ciò, non è ancora riuscita a colmare completamente il gap.

Il problema del bias

Un problema base, difficile da scalfire, risiede nel pregiudizio o bias. Non parliamo per forza di un’espressione esplicita, che esiste ma paradossalmente nella sua esternazione è più facilmente identificabile. Esiste infatti anche un bias implicito, che comunque influenza le decisioni e le scelte delle aziende.

Sempre nel report di Forbes citato prima viene sottolineato un fatto che spesso viene dato per scontato: molte persone tendono a connettersi più facilmente con persone che gli somigliano. Questo è vero non solo a livello di relazioni sociali anche a livello professionale, ma influisce anche sui rapporti tra superiori (che, dati alla mano, tendono ad essere man mano che si sale nella gerarchia uomini bianchi eterosessuali) e dipendenti, e quindi anche sulle possibilità di promozione.

Assunzioni inique

Questo fenomeno si presenta anche a livello di assunzione, dove l’esistenza di un bias di genere è stata dimostrata anche da studi. Per fare un esempio, però, spostiamo un attimo lo sguardo alle orchestre sinfoniche, un ambiente dove conta (o dovrebbe contare) principalmente l’abilità musicale, a prescindere da genere o etnia. All’interno delle orchestre per decenni c’è stato una forte squilibrio a livello di diversità. Per provare a rendere il processo di ingaggio meno biased, dagli anni ‘50 in molte orchestre i provini sono ripetuti, in modo da avere più occasioni di giudicare il candidato. Inoltre, in diversi casi sono organizzati alla cieca, ovvero in modo che chi giudica non sappia l’identità e l’aspetto del candidato, ma possa solo ascoltare la sua performance musicale.

Questo cambiamento ha portato ad una crescita della componente femminile dal 6% nel 1970 al 21% nel 1993. Sicuramente questo cambiamento può essere ricollegato in parte anche ad altri fattori, come la percentule di donne iscritte e diplomate al conservatorio. Ma una parte di questo aumento ha evidenziato, almeno in parte, un bias che portava a non selezionare le candidate anche se adeguate.

Questa pratica in parte è stata adottata anche in molti di posti di lavoro più tradizionali attraverso lo strumento dei Blind CV, ovvero curriculum che nascono informazioni riguardanti nome, età ed etnia. Come strumenti in teoria permettono di valutare in maniera più neutrale i vari candidati, includendo solo informazioni rilevanti per la posizione. Presentano comunque una limitazione: se da una parte ad una prima scrematura un eventuale bias di genere o razziale può essere eliminato, non può essere del tutto escluso da fasi successive con ad esempio colloqui di persona, che valutano anche qualità più immateriali come attitudine, carisma e via dicendo.

Un problema di approccio

Il problema, come evidenziato da un report di Harvard Business Review, è che in molti casi l’approccio alla diversità è sempre riparativo e non pro-attivo. I vari programmi di sensibilizzazione riguardano più una tutela dell’azienda stessa e una serie di divieti che la promozione di una cultura positiva intorno alla diversità. Come dimostrato a livello di scienze sociali, un metodo del genere non aiuta ad eliminare il bias più o meno esplicito, anzi, a volte lo accentua per reazione. Molti manager utilizzano strumenti come i test per le assunzioni, che in teoria dovrebbero servire a standardizzare la valutazione dei candidati, selettivamente solo su candidati appartenente a categorie marginalizzate o dando pesi diversi ai risultati in base all’identità del candidato.

Alcune aziende, comunque interessate ad avere una forza lavoro diversificata, non fosse altro per l’immagine aziendale, si rivolgono a concorsi e assunzioni mirati esclusivamente a individui marginalizzati. Una pratica che fa storcere il naso, perché sembra dare priorità all’aspetto di marginalizzazione (genere, età, etnia, orientamento sessuale) rispetto alle competenze. E in parte sicuramente queste pratiche fanno trasparire una mancata comprensione di cosa voglia dire rendere una azienda diversificata e inclusiva, che come abbiamo visto non è semplicemente assumere persone. Dall’altra parte, però, è un rimedio imperfetto ad una situazione ingiusta in cui, anche a parità di competenze, le persone marginalizzate sono assunte e promosse di meno.

Cercando una soluzione per la diversità nelle aziende

Al netto di tutte queste considerazioni, non abbiamo una soluzione da darvi al problema della diversità nelle aziende. Non esiste una bacchetta magica perché, banalmente, è un problema complesso che richiede una comprensione e una soluzione altrettanto complesse. Molte aziende dovranno prima o poi considerarlo, se non lo hanno già fatto. E il primo passo è sicuramente quello di affrontarlo non come un dovere o un’operazione di facciata, ma come un’operazione di valore che merita attenzione, considerazione e investimenti.

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Giovanni Natalini

Ingegnere Elettronico prestato a tempo indeterminato alla comunicazione. Mi entusiasmo facilmente e mi interessa un po' di tutto: scienza, tecnologia, ma anche fumetti, podcast, meme, Youtube e videogiochi.

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